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Match Catalogna-Spagna e ritorno del nazionalismo in Europa. Dietro la crisi una manipolazione della storia

Mentre prosegue il braccio di ferro tra Madrid e Barcellona, emerge una tendenza continentale alle chiusure e ai particolarismi. Non sempre il passato riesce a insegnare ad evitare vecchi errori. Dalla Chiesa parole profetiche nel segno della solidarietà tra popoli e nazioni. Urgente tornare a un dialogo aperto e costruttivo

(Foto: AFP/SIR)

Di fronte agli ultimi eventi in Catalogna, sarebbe utile tornare all’insegnamento della Chiesa. In un discorso del 24 dicembre 1930 Papa Pio XI definì il nazionalismo “egoistico e duro”, come “odio e invidia in luogo del mutuo desiderio di bene, diffidenza e sospetto in luogo di fraterna fiducia, concorrenza e lotta in luogo di concorde cooperazione, ambizione di egemonia e di predominio in luogo del rispetto e della tutela di tutti i diritti, siano pur quelli dei deboli e dei piccoli”.
Queste parole sono purtroppo di grande attualità. E sono state riprese da tutti i successori di Papa Ratti.
Dopo la seconda guerra mondiale i popoli europei avevano compreso il prezzo del nazionalismo che per la seconda volta in meno di trent’anni aveva portato alla guerra. Le nazioni si erano allora impegnate in una costruzione inedita, quella dell’unità del continente sulla base della riconciliazione degli ex belligeranti. Tale costruzione era fondata anche sulla democrazia.

Più avanti l’Europa aiutò la Spagna a uscire dalla dittatura e a costruire una vera democrazia

che riconosce il loro posto alle identità regionali. Similmente l’Europa aiutò il Portogallo e la Grecia a prendere la strada della democrazia e, infine, ha accolto i Paesi dell’Europa centrale e orientale, finalmente liberatisi dalla dittatura comunista. La costruzione europea fu un’impresa della ragione, secondo l’idea che è meglio unirsi, e che tutti i popoli sono più forti uniti anziché divisi, che il bene comune esige la fiducia, l’amicizia, la solidarietà.
Oggi, in un contesto di “Pax europea”, sorge una crisi difficile da capire per un cittadino europeo che prova ad avere una visione razionale. La Catalogna è una regione prospera, che gode di una autonomia amministrativa, politica, culturale quasi completa nel contesto dello Stato spagnolo, nel quadro di una democrazia perfettamente rispettosa dei diritti umani e che mira all’integrazione nell’Europa. La Catalogna può così costruire un rapporto diretto di cooperazione con grandi regioni europee come Auvergne-Rhône-Alpes, Lombardia e Baden-Wurttemberg; sono i cosiddetti “quattro motori dell’Europa”.

Però oggi in Europa il nazionalismo “egoistico e duro” non riguarda solo gli Stati (si veda il risultato delle elezioni in Austria), ma anche alcune regioni.

La Catalogna illustra bene le parole di Pio XI; la crisi attuale è il frutto di un odio accumulato durante secoli, che nutre la diffidenza e il sospetto, con l’incapacità di vivere, nel mondo attuale, e di superare un passato che è passato, ma che alcuni non vogliono che passi. A Barcellona si parla della presa della città da parte del re Filippo V nel 1713, come se fosse successo l’anno scorso. La crisi è il frutto di una manipolazione della storia. È anche il frutto dell’egoismo che rifiuta la cooperazione con le altre regioni spagnole meno benestanti, che respinge la solidarietà economica e fiscale con i più deboli. È il frutto di un sentimento culturale e politico che fa ritenere ai catalani di essere superiori rispetto ad altri; fa pensare di non avere alcun bisogno degli “altri”… Fino a rinunciare alla lingua spagnola. Nelle scuole pubbliche catalane lo spagnolo è insegnato soltanto due ore alla settimana. Si capisce così la volontà di far vivere la propria lingua, il catalano, che è una lingua ricca; ma è giusto privare tutta una generazione di una lingua come lo spagnolo che permette di circolare e di lavorare in una grande parte del mondo? Emerge la tentazione di rinchiudersi su se stessi, in una fortezza inespugnabile.
Ma la questione catalana è anche la questione spagnola.

Al nazionalismo catalano, come al nazionalismo basco, si oppone un nazionalismo castigliano

con una vera “guerra” delle bandiere nazionali, dove la bandiera europea con le sue stelle è pesantemente assente.
Il problema che si pone all’Europa dipende dal fatto che il caso catalano non è isolato. Altre provincie o regioni tra le più ricche nel Vecchio Continente sono chiamate dai populisti a una eguale chiusura o isolamento per “proteggersi” dall’Europa e dal principio di solidarietà tra le regioni, erigendo frontiere, e se non bastano, dei muri.
Tutta la storia dell’umanità insegna che il nazionalismo conduce all’odio e alla guerra. Anche recentemente: la dissoluzione della Yugoslavia dovrebbe farci riflettere. La passione può sempre vincere sulla ragione. Ottant’anni dopo l’inizio della guerra civile spagnola, gli spagnoli e i catalani dovrebbero ricordarsene.
Nel 1995, Giovanni Paolo II aveva esposto all’Onu l’idea di una Carta delle nazioni e aveva invitato ogni Paese ad “accogliere l’identità del suo vicino”. Per il Pontefice si trattava di un vero dovere, conforme al diritto naturale e al bene comune, condizione per evitare “quelle manifestazioni patologiche che si verificano quando il senso di appartenenza assume toni di autoesaltazione e di esclusione della diversità, sviluppandosi in forme nazionalistiche, razzistiche e xenofobe” (messaggio per la pace, 1° gennaio 2001).

La situazione è diventata estremamente pericolosa. Bisogna urgentemente ricucire il tessuto del dialogo.

I partiti politici ne sembrano incapaci. La Chiesa cattolica, molto vicina al popolo in Spagna come in Catalogna, potrebbe assumersi questa responsabilità del dialogo, come ha proposto Jordi Savall, grande musicista spagnolo. È urgente rompere con il rancore, l’incomprensione, l’accecamento della passione, per riprendere la strada della ragione.

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