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Reportage da Atene. Tra i vicoli di Omonia, le ferite aperte della crisi greca

La crisi della Grecia, giunta al settimo anno, raccontata da un ex senza tetto, Lambros Mustakis, che oggi riesce a vivere vendendo copie del mensile "Shedia" parola che in greco vuol dire "scialuppa di salvataggio". Un viaggio con Lambros tra i vicoli del quartiere Omonia, in una delle foto più tragiche e vere della Grecia di oggi. Il suo racconto a un piccolo gruppo di giovani italiani: senza lavoro "mi sono ritrovato a dormire per strada, a cercare da mangiare e da bere, trovare un posto dove lavarmi perché se non ti lavi, puzzi, e nessuno si avvicina e vuole parlare con te". Molti in Grecia oggi vivono così

“Shedia” in greco significa “scialuppa di salvataggio”. Ed è il nome dato all’unico giornale di strada in Grecia, fondato nel 2013, in piena crisi economica del Paese, da alcuni senza tetto. Per molti di questi homeless il mensile “Shedia” ha rappresentato davvero una scialuppa di salvataggio su cui salire per non essere risucchiati nel gorgo della crisi greca che sembra avvitarsi ancora di più intorno a quel che resta di un Paese che ha visto, dopo sette anni, la sua economia contrarsi di quasi del 25% e la disoccupazione salire oltre il 25%, con punte del 50% tra i giovani. Per non parlare dell’imponente debito pubblico che sfiora il 180% del Pil.

Sale l’attesa per l’Eurogruppo del 15 giugno che dovrebbe decidere l’erogazione ad Atene della tranche di aiuti tra 7 e 10 miliardi che darebbe una boccata di ossigeno al premier Alexis Tsipras, al governo dal 2015.

La sede di “Shedia” si trova nel quartiere di Omonia nei cui vicoli è facile vedere le ferite aperte della crisi. Saracinesche ingiallite di negozi ormai chiusi da tempo con la scritta “politai” (vendesi), tanti cartelli “affittasi”.

Dove prima prosperavano botteghe e laboratori oggi regnano mercatini semideserti di cinesi, pakistani e cingalesi. Per camminare sui marciapiedi bisogna fare lo slalom tra le mercanzie esposte, frutta, valigie, chincaglierie varie e qualche derelitto allungato a terra a smaltire qualche dose oppure un cartone di vino. Da qui l’Acropoli assolata appare lontana. A “Shedia” lavora Lambros Mustakis, 55 anni, di madre brasiliana e padre greco, con un sogno mai realizzato, “fare l’avvocato per i diritti umani” e una passione per la recitazione teatrale.

 

Dopo aver lavorato in Brasile e Argentina, nel 1997 torna in Grecia. Forte delle sue 5 lingue trova occupazione presso una catena di hotel salvo poi restare disoccupato nel 2011, quando a causa della crisi economica il suo datore di lavoro chiude gli alberghi. “In quel tempo io una casa l’avevo – racconta Lambros, sorridendo – ma dopo il licenziamento ho perso tutto. Così mi sono ritrovato a dormire per strada, a cercare da mangiare e da bere, trovare un posto dove lavarmi perché se non ti lavi, puzzi, e nessuno si avvicina e vuole parlare con te.

Non volevo elemosina ma solo qualcuno che mi ascoltasse e mi desse un aiuto per rialzarmi”.

Sono tanti oggi in Grecia coloro che si trovano in queste condizioni e non tutti ce la fanno a rialzare il capo come Lambros. “Non parlo dei senza tetto che hanno scelto di vivere in strada ma di coloro che sono costretti a farlo perché non hanno più un lavoro – precisa Lambros –. Quando hai perso tutto hai due possibilità: continuare a fare l’onesto con dignità oppure cominci a vivere commettendo reati, per morire di droga o di alcool”.

Lambros oggi vive vendendo “Shedia”, al costo di tre euro, “1 euro e 50 va in tasca al venditore”. Con gli altri venditori piazzano 27mila copie tra Atene e Salonicco. “Ogni mese riesco a tirare su trecento euro circa con cui vado avanti”. Oltre al ruolo di venditore Lambros si occupa di accompagnare piccoli gruppi di persone lungo i cosiddetti “percorsi invisibili” di Atene, ai luoghi dove ha vissuto da senza tetto, come mense, dormitori, centri diurni, ambulatori medici, condividendone i ricordi e motivando i partecipanti alla lotta contro la povertà. Luoghi invisibili agli occhi di chi arriva in Grecia per ammirare l’Acropoli, il Partenone, il palazzo del Parlamento, l’Agorà, o le altre bellezze della storia antica della capitale. Oggi c’è una storia molto più recente da raccontare che ha i volti di tanti greci e migranti (si stimano in 60mila) rimasti in Grecia dopo la chiusura della Rotta Balcanica. La storia di oggi parla “di grandi alberghi come l’hotel Ionis, ad Omonia, presi in affitto dal comune di Atene per ospitare famiglie povere e persone che non sanno dove andare. La crisi ha tagliato anche i fondi sociali – dice Lambros – per cui è facile vedere insieme persone malate di cancro e di Aids. Negli ospedali mancano i posti letto e le medicine hanno costi esorbitanti”. Poco distante piazza Vathi, “prima che la Polizia la ripulisse, quattro anni fa, era un luogo di spaccio. Ma il traffico si è solo spostato nei vicoli adiacenti dove di sera si consumano dosi di “sisha”, la droga della crisi, perché prodursela in casa non costa nulla. Una dose la prendi con meno di due euro. Ti brucia gli organi interni e ti porta alla morte in pochi mesi per emorragia. In tanti ne fanno uso”. Nei pressi, tra gli alberi di un vialetto, opera la mensa di Caritas Hellas, una delle risposte concrete della Chiesa cattolica locale ai bisogni della popolazione. Si prosegue verso il Teatro nazionale greco, in Agiou Konstadinou. Nella zona dietro il teatro, racconta Lambros, “l’80% degli abitanti è straniero, migranti, il 20% ateniese. Qui il partito di ispirazione nazista Alba Dorata, ora sotto processo come organizzazione criminale, è il primo partito”.

Pochi passi e si arriva in Odos Sapfous dove “la mensa municipale distribuisce 1.700 pasti caldi al giorno. In passato veniva dato anche un secondo piatto ma il taglio dei fondi non lo permette più”. Ultima tappa di questo “percorso invisibile” è il Mercato vecchio di Atene, “al tramonto, quando le bancarelle chiudono, si riempie di spacciatori e di prostitute. Chi può trova riparo notturno in qualche angolo, aspettando di nuovo il giorno”.

È il momento dei saluti. Lo sguardo di Lambros si dirige verso il gruppo di 8 giovani della diocesi di Acqui, accompagnati dal loro sacerdote, don Mario Montanaro, ad Atene per una settimana di volontariato tra i poveri e i rifugiati.

Lo hanno seguito in ogni passo in silenzio. Ascoltandolo. Le sue ultime parole sono per loro:

“Non mollate mai, restate uniti, coltivate la vostra famiglia, le vere amicizie, l’onestà e la bontà e tutte le porte si apriranno.

Quando ero nel fosso della disperazione ho chiesto a Dio di continuare a vivere onestamente. Mi ha mandato questa scialuppa di salvataggio che è  Shedia. E ho ricominciato a vivere”.

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