San Giovanni a Teduccio dove la precarietà delle famiglie fa paura

Qui, nella VI Municipalità di Napoli, il peso della criminalità si fa sentire. Nel deserto di un territorio dimenticato dalle istituzioni c'è solo l'Oasi della parrocchia Maria Immacolata Assunta in Cielo...

Un deserto. Non ci sono luoghi di aggregazione, cinema, teatri, palestre. C’è solo la strada, con i suoi rischi. È la fotografia di San Giovanni a Teduccio, quartiere della periferia orientale di Napoli, dove l'”Oasi”, di nome e di fatto, è un centro realizzato dall’associazione “Figli in famiglia”, nata in seno alla parrocchia Maria Immacolata Assunta in Cielo. Il centro ha una palestra, l’unica del quartiere, laboratori, un teatro all’aperto, il ristorante, la cucina. Il resto è “deserto”, dove la presenza della criminalità organizzata si fa sentire, lo spaccio della droga è a cielo aperto, molti negozi hanno dovuto chiudere strozzati dalla crisi e dal pizzo, le fabbriche sono fallite e molti non hanno lavoro e vivono di piccoli espedienti e illegalità.

Un’Oasi nel deserto. Carmela Manco ha dato vita insieme al parroco don Gaetano Romano all’associazione “Figli in famiglia”. “San Giovanni a Teduccio – racconta – è stato fino al 1930 un paese autonomo, inglobato poi da Napoli. La ridente e ricca cittadina ha lasciato il posto al grigiore e al completo abbandono in cui oggi il territorio versa”. L’associazione “è nata nel 1983 a San Giovanni a Teduccio che, con i quartieri di Barra e Ponticelli, forma la VI Municipalità, tristemente famosa come ‘triangolo della morte'”. L’associazione si occupa di recuperare famiglie e minori in grave disagio sociale. “Il nostro sforzo – afferma – è rendere gli utenti protagonisti e responsabili del loro futuro”. “Qui gli unici punti di riferimento positivi sono la parrocchia e l’associazione”, concorda Gennaro Tubelli, 44 anni, custode del centro Oasi. “Il nostro quartiere vive il problema gravissimo dello spaccio di droga, dell’usura e del pizzo – dichiara -. Anche se le forze dell’ordine fanno retate e arrestano 20 persone, il giorno dopo ce ne sono altre dieci pronte a prendere il loro posto. La maggioranza della popolazione risulta senza lavoro, ma in realtà vive d’illegalità: oltre la droga, rapine, furti, contrabbando di sigarette. C’è anche una forte evasione scolastica. Noi in associazione cerchiamo di aiutare i bambini a uscire dalle logiche criminali delle famiglie di provenienza, ma non è facile. C’è anche un problema di mentalità: la gente non vuole migliorare”.

Poca speranza nel futuro. Non è facile guardare al futuro con speranza quando si hanno quattro figli piccoli (dai 3 agli 11 anni) da sfamare, ma nessun lavoro sicuro e un affitto di 400 euro da pagare ogni mese. È la storia di Sandra (nome di fantasia), 33 anni. A 19 anni la camorra le ha ammazzato il padre perché, dice, “la mia è una famiglia di appartenenza”. Un altro modo per dire legata alla criminalità. Dopo la morte del padre “è stato durissimo”. Giovanissima si è sposata perché desiderava “un figlio per non impazzire di dolore”. Ma le cose non sono andate come sperava: “La mia prima figlia è nata di 23 settimane e con molti problemi”. Travolta dalla depressione, Sandra ha anche tentato il suicidio. Anche ora la vita è difficile. “A San Giovanni lavoro zero – denuncia -. Non lavoriamo né io né mio marito, che si arrabatta come può vendendo calzini o sigarette per strada. In passato mio marito ha fatto di tutto, ma dopo aver avuto i figli non vuole più vivere di espedienti illegali perché ha una grande responsabilità nei loro confronti”. Per tirare avanti risultano utilissimi i 350 euro al mese che la famiglia riceve per i problemi della prima figlia nei periodi nei quali la scuola è aperta. Per le attività extra scolastiche usufruisce gratuitamente di quelle organizzate all’Oasi. “Nelle mie condizioni ci sono tanti – afferma -. Tante volte ho pensato di andare via da San Giovanni a Teduccio, ma qui c’è tutta la mia famiglia, alla quale sono molto legata. Anche se vivono nella precarietà, i miei familiari non ne vogliono sapere di trasferirsi. Pensano di non avere chance neppure fuori”. “Io – ammette – non guardo al futuro con speranza. Mi auguro solo che i miei figli possano avere una vita migliore. Un barlume viene solo dalla fede: da poco mi sono riavvicinata alla Chiesa”.

Ricordi dolorosi. Maria Birra ha 26 anni ed è una delle educatrici del Centro Oasi. “Vengo da una famiglia umile, ma per fortuna non camorrista – dice -. Quando avevo quasi 18 anni mio padre è stato investito ed è morto. Ma ugualmente posso dire di essere una ragazza fortunata rispetto a tanti miei coetanei”. Maria ha dei ricordi che fanno venire i brividi: “Quando eravamo piccoli, per strada vedevamo drogati che sembravano tanti ‘zombie’. Abbiamo visto sotto i nostri occhi sparatorie tra clan rivali. Nella via in cui vivevo, il fruttivendolo conservava le cassette di legno della frutta e le metteva lungo i marciapiedi in modo che noi bambini ci potevamo nascondere se iniziava una sparatoria. Ho visto tre volte persone morte per la strada”. I ragazzi di oggi sono più fortunati perché possono usufruire di una struttura come l’Oasi: “Dal 2006 l’associazione utilizza la struttura di una ex fabbrica. Circa 500 ragazzi vengono al centro ogni giorno. Tre anni fa abbiamo anche avuto in gestione un bene confiscato: lì abbiamo avviato un baby parking, dove lavoro come educatrice insieme con altre due ragazze. L’associazione cerca di offrire opportunità di lavoro ai giovani. Ed è veramente un’Oasi perché qui in periferia le istituzioni si sono dimenticate di noi. Ci sono strade così isolate che se qualcuno ti fa del male, nessuno se ne accorge”. Gigliola Alfaro (05 luglio 2014)

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