Un viaggio, una domanda

Ovunque sia andato, il Papa ha disseminato il suo percorso di interrogativi esigenti su Dio e sull'uomo

C’è come un sottile fil rouge che, lungo questi quasi otto anni di pontificato, tiene insieme i viaggi internazionali di Benedetto XVI ed è il Concilio, con le sue attenzioni al mondo contemporaneo, alla vita delle comunità cristiane, al dialogo con le altre religioni. È un cammino che per Joseph Ratzinger, appena eletto Papa, non poteva non cominciare se non dai giovani, da quella tappa a Colonia, voluta da Giovanni Paolo II e riletta, se così possiamo dire, da Papa Benedetto con la sua volontà di proporre ai ragazzi il tempo del silenzio e della preghiera nell’adorazione all’eucaristia. Scelta che è sembrata a molti in contrasto con la gioiosità di questi appuntamenti mondiali e con la spensieratezza propria della condizione giovanile; non pochi hanno pensato ad una decisione destinata a non avere successo. Invece la risposta dei ragazzi è stata sorprendente, e via via, a Sydney, a Madrid, non solo si è ripetuta ma è stata ancor più seguita e voluta proprio dai giovani. Il popolo di Dio che dialoga con la Chiesa, il mondo. Credo che non molti di quei cardinali che lo hanno votato nel Conclave del 2005 pensassero che lui, il professor Ratzinger, il fine teologo, arcivescovo di Monaco e prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, potesse entrare in sintonia e essere capito subito dai giovani, dai papaboys, come sono stati anche chiamati i ragazzi di Wojtyla. Lui, Benedetto XVI, che si era presentato come semplice, umile lavoratore nella vigna del Signore.

Parlando di Concilio, le tappe che segnano questa attenzione sono diverse, ma come non partire proprio dal viaggio nella patria del suo predecessore, omaggio al Papa "venuto da un paese lontano", e, in modo particolare, dalla tappa di Auschwitz. E come non ricordare quella sua preghiera davanti alle lapidi che ricordano i milioni di uomini e donne, ebrei soprattutto, uccisi nel campo di concentramento: "Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l’uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania. In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio – un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?". Doveva andare a Auschwitz, dirà ancora, "come figlio del popolo tedesco".

C’era già stata la visita alla Sinagoga di Colonia; sarebbe poi andato al Tempio maggiore di Roma, e avrebbe messo la sua preghiera tra le pietre del Muro occidentale a Gerusalemme. Visitando il mausoleo dell’Olocausto, Yad Vashem, dirà: i nomi dei milioni di ebrei uccisi "nell’orrenda tragedia della Shoah" sono "incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente".
È proprio Benedetto XVI che, parlando ai parroci di Roma, ricorda che il documento Nostra aetate, risponde "in modo più sintetico e più concreto alle sfide del nostro tempo". Con la memoria, parlando per 45 minuti senza testo scritto, ricorda quei giorni del Concilio; ricorda: "dall’inizio erano presenti i nostri amici ebrei, che hanno detto, soprattutto a noi tedeschi, ma non solo a noi, che dopo gli avvenimenti tristi di questo secolo nazista, del decennio nazista, la Chiesa cattolica deve dire una parola sull’Antico Testamento, sul popolo ebraico". Ma anche l’Islam "è una grande sfida e la Chiesa deve chiarire anche la sua relazione con l’Islam. Una cosa che noi, in quel momento, non abbiamo tanto capito, un po’, ma non molto. Oggi sappiamo quanto fosse necessario".

È il tema del dialogo nella diversità delle fedi, che Benedetto XVI interpreta recandosi a Istanbul, visita a Santa Sofia e silenziosa preghiera con accanto l’Imam. Ma il tema del dialogo con le altre religioni e in particolare con l’Islam vive di altri momenti, dall’incontro di Assisi, preghiera per la pace nel mondo, alla lezione di Ratisbona, dove una cattiva interpretazione delle parole del Papa suscita violente manifestazioni proprio nel mondo arabo. Il tema che affronta è fede e ragione, e si sofferma su un dialogo tra l’imperatore Manuele II Paleologo e un dotto arabo con la domanda "inaccettabile" sul rapporto religione e violenza. Dirà il Papa: "nel mondo occidentale domina largamente l’opinione, che soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali. Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall’universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture".

I viaggi africani – Benin, Angola, Cameroun – hanno come linee guida il tema della missione, possiamo dire del decreto Ad Gentes. Viaggi per dire che non bisogna "rubare" il futuro di questi popoli, messaggio all’occidente che vive e spreca l’ottanta per cento delle risorse, lasciando ciò che rimane ai tre quarti della popolazione mondiale. Viaggi nel sud del mondo, nell’America Latina dei grandi contrasti, nella Cuba che vive la difficile transizione del dopo Fidel Castro, con una Chiesa che sempre più chiede spazio per la sua opera di evangelizzazione. All’Avana incontra il leader maximo, colloquio privato, fatto di domande sulla liturgia e su Dio, di un uomo nel quale la fede, appresa nella sua giovinezza, è forse solo sopita ma non del tutto dimenticata.

Ci sono poi le visite in Gran Bretagna, il discorso alla Westminster Hall, in Francia, la lezione su fede e cultura al Collegio des Bernardin, e le parole pronunciate a Berlino al Reichstag, il Parlamento federale, di un figlio della Germania che ricorda la Costituzione nata dalle macerie della seconda guerra mondiale e che ribadisce con vigore i diritti della persona di fronte all’arroganza del potere.
Proprio in Germania, il tema del dialogo ecumenico torna con forza visitando, settembre 2011, Erfurt la città dove Lutero ha studiato, si è formato, e da dove è partito per andare ad affiggere alla porta del duomo di Wittemberg le 95 tesi sulle indulgenze. Incontro che per Papa Benedetto parte da una domanda che non dava pace al padre della Riforma: "come posso avere un Dio misericordioso?". Questa domanda gli penetrava nel cuore e stava dietro ogni sua ricerca teologica e ogni lotta interiore, dirà Benedetto XVI. Una domanda che colpisce: "chi si preoccupa ancora di questo, anche tra i cristiani? Che cosa significa la questione su Dio nella nostra vita? Nel nostro annuncio?".
Una riflessione che, in qualche modo, si pone in continuità con un altro documento conciliare, la costituzione Gaudium et spes, su Chiesa e mondo contemporaneo, che "ha analizzato molto bene il problema tra escatologia cristiana e progresso mondano, tra responsabilità per la società di domani e responsabilità del cristiano davanti all’eternità, e così ha anche rinnovato l’etica cristiana, le fondamenta" dirà il Papa. Certo quella domanda di Lutero porta con se altre questioni che Benedetto XVI evidenzia: "non viene forse devastato il mondo a causa della corruzione dei grandi, ma anche dei piccoli, che pensano soltanto al proprio tornaconto? Non viene forse devastato a causa del potere della droga, che vive, da una parte, della brama di vita e di denaro e, dall’altra, dell’avidità di piacere delle persone dedite ad essa? Non è forse minacciato dalla crescente disposizione alla violenza che, non di rado, si maschera con l’apparenza della religiosità?" Le domande in questo senso potrebbero continuare, "il male non è un’inezia".

Il male, la follia del terrorismo, che Benedetto XVI percepisce scendendo a Ground Zero, la ferita al mondo e non solo a New York in quell’11 settembre 2001: "Dio della comprensione, sopraffatti dalla dimensione immane di questa tragedia, cerchiamo la tua luce e la tua guida, mentre siamo davanti ad eventi così tremendi".
Per finire, come un fermarsi con il pensiero alla visita a Gerusalemme, il Santo Sepolcro. La tomba vuota ci parla di speranza: "Qui Cristo morì e risuscitò, per non morire mai più. Qui la storia dell’umanità fu definitivamente cambiata. Il lungo dominio del peccato e della morte venne distrutto dal trionfo dell’obbedienza e della vita; il legno della croce svela la verità circa il bene e il male; il giudizio di Dio fu pronunciato su questo mondo e la grazia dello Spirito Santo venne riversata sull’umanità intera".

Fabio Zavattaro

(28 febbraio 2013)

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