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Musica sacra: dopo 50 anni le valutazioni di un esperto e testimone

“Nel Concilio Vaticano II la musica sacra occupa un posto di rilevante interesse. Per la prima volta nella storia la musica sacra è stata oggetto di studi, di valutazioni, di decisive disposizioni in un Concilio ecumenico. In nessun altro Concilio s’era parlato tanto di musica, né s’era ascoltata tanta musica, né s’erano prese tante importanti decisioni riguardo alla musica”. È la premessa – sono sue parole – a questo breve incontro con padre Emidio Papinutti, sacerdote dei Frati minori, uno dei massimi esperti italiani di musica sacra e in particolare di canto gregoriano. Per 20 anni organista della basilica di San Pietro in Vaticano (dal 1969 al 1989 ha accompagnato all’organo le più importanti celebrazioni pontificie), per 15 segretario generale dell’associazione Santa Cecilia, già collaboratore de “L’Osservatore Romano” e autore di numerose pubblicazioni in materia, padre Papinutti ha superato lo scorso maggio la soglia degli 88 anni. Ha dunque vissuto appieno la stagione del Concilio e, nonostante l’età, non ha perduto la vis polemica che lo ha visto in passato, e lo vede tuttora, battersi e scontrarsi (sempre con spirito francescano) in difesa della musica sacra.

Padre Papinutti, quali influssi, a suo giudizio, ha avuto il Vaticano II sulla musica sacra e la liturgia in genere?
“Il Concilio ha avuto influssi incalcolabili, epocali sulla liturgia e sulla musica sacra. Purtroppo, almeno in Italia, nel campo della musica sacra ha provocato danni notevoli. O meglio, mi correggo: questi danni non sono stati provocati dal Concilio, ma piuttosto da errate interpretazioni del Concilio. Il Concilio non ha ordinato la distruzione di tutta la musica sacra dei secoli passati, anzi dichiara che il canto gregoriano è il ‘canto proprio della liturgia romana’ e che, per conseguenza, ‘gli si deve riservare il posto principale’. Il Concilio raccomanda che ‘si conservi e si incrementi con grande cura il patrimonio della musica sacra’. Il Concilio stabilisce che ‘si promuovano le Scholae cantorum‘ perché la polifonia ‘non si esclude affatto dalle celebrazioni liturgiche’. E si potrebbe continuare…”.

Nell’introduzione al suo libro “Ma che musica! – La musica sacra dopo il Concilio” lei scriveva che “il Concilio Vaticano II, per la musica sacra, è un punto di arrivo e un punto di partenza”. Che cosa intendeva dire?
“Volevo dire che la liturgia della Chiesa è vecchia di duemila anni. Stranamente per alcuni la storia della liturgia comincerebbe col Concilio Vaticano II. Prima solo i secoli bui: riti, cerimonie, fedeli muti spettatori, chierici factotum… È sbagliato solo pensarlo. Il Concilio è stato un ‘punto di arrivo’. Lo dichiara lo stesso Concilio: ‘Per conservare la sana tradizione e aprire nondimeno la via a un legittimo progresso…’. Che il Concilio sia un punto di arrivo viene ribadito all’inizio del capitolo sesto della Costituzione liturgica, che tratta appunto della musica sacra: ‘Il Sacro Concilio, conservando le norme e le prescrizioni della disciplina e tradizione ecclesiastica, stabilisce quanto segue’. Tutto quello che il Concilio dice della liturgia e della musica sacra, si inserisce nella serie di riforme, cambiamenti, aggiornamenti fatti durante i secoli. La questione si può riassumere in due parole: rinnovamento nella tradizione. Il Concilio è stato un punto di arrivo, prima di diventare un punto di partenza”.

A 50 anni dal Concilio che cosa, secondo lei, è cambiato in meglio e in peggio nella musica sacra?
“In meglio: l’inserimento dei fedeli, in particolare delle donne, nell’azione liturgica; i vari ministeri liturgici affidati ai laici; l’adattamento dei canti ai determinati momenti liturgici. In peggio: la scomparsa della Messa solenne e della Messa cantata, la proliferazione di musichette e musicacce nella liturgia, l’abbandono del canto gregoriano e della polifonia, la crisi delle Scholae cantorum. Prova ne sia la disaffezione di molti cristiani per la nuova musica liturgica”.

Secondo lei, i pronunciamenti del Concilio in materia di musica sacra sono stati recepiti esattamente oppure ognuno li ha interpretati a proprio uso e consumo?
“Bisogna distinguere: ci sono vescovi, associazioni, movimenti che li hanno recepiti esattamente, ci sono altri che li hanno interpretati a proprio uso e consumo, appellandosi allo ‘spirito del Concilio’ oppure pretendendo di leggere tra le righe disposizioni conciliari inesistenti. Quello che più mi sorprende è il fatto che oggi quasi nessuno parli della partecipazione liturgica ‘interiore’, mentre si ascolta ciò che i ministri o la Schola cantano. Anche questa è una partecipazione attiva alla liturgia”.

Qual è la situazione della musica sacra oggi in Italia?
“Un fenomeno positivo è il fatto che in questi ultimi anni è stata prodotta una mole immensa di nuova musica per la liturgia. Si calcola che siano strati composti circa ventimila nuovi canti. Ma solo pochi di questi canti sono diventati ‘popolari’, nel senso che siano stati accolti dai fedeli e che vengano eseguiti nelle chiese da tutta l’assemblea. Secondo me si è voluto trapiantare in Italia la forma ‘responsoriale’ molto diffusa altrove. Questo va bene per il canto responsoriale tra le letture, ma eseguire tutti i canti in questo modo va contro l’istinto musicale italiano. Noi italiani preferiamo il canto strofico, come gli inni. Forse per questo si sono diffusi largamente canti come ‘Noi canteremo gloria a te’ o ‘Il Signore è il mio pastore’ su testo di Turoldo, mente i brani in forma responsoriale, che sono la maggior parte, non si adattano altrettanto bene alle nostre assemblee liturgiche”.

Il panorama offre oggi nuove composizioni valide oppure il repertorio vive di eredità sulla base delle composizioni del passato?
“Il repertorio italiano non vive di eredità del passato: ha rinunciato al passato con dispetto, quasi con disprezzo. Si sente il bisogno di nuove composizioni valide. Il Concilio di Trento ha avuto il suo Pierluigi da Palestrina. Lutero per la sua Riforma si è avvalso di buoni musicisti, come Johannes Walther. All’inizio del secolo scorso Pio X, col suo motu proprio ‘Tra le sollecitudini’, ha operato una riforma radicale della musica liturgica, ma ha avuto Lorenzo Perosi che ha tradotto in musica i princìpi proclamati dal Papa. Oggi non resta che aspettarci un nuovo Palestrina, un nuovo Perosi, che dia voce alla riforma voluta dal Concilio Vaticano II”.

a cura di Piero Isola

(10 ottobre 2012)

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