Capitano di ventura

A un mese dalla morte di "un prete geniale"

A chi non ha conosciuto don Giuseppe Cacciami rischia di mancare per sempre una tessera fondamentale del mosaico del dopo Concilio in Italia. Don Cacciami apparteneva infatti alla leva dei preti che, ordinati nell’immediato pre-Concilio o durante l’evento conciliare stesso, avevano continuato a coltivarsi, a leggere e documentarsi, erano curiosi del mondo, si interessavano – iuxta modum – di politica, erano aperti alle novità del territorio e per queste doti – naturali o acquisite – venivano ad un certo punto incaricati dai loro vescovi di curare la stampa diocesana. Agli inizi degli anni Ottanta si verificò la felice congiuntura che un numero elevato di questi teneva saldamente in mano gli organi di stampa delle rispettive diocesi. Mi riferisco ai don Contran, ai don Dall’Andrea, ai don Cusinato, ai don Pertegato, ai don Simoncini, ai don Bromuri, ai don Inserra…

Uomini di vaglia, ormai avanti purtroppo negli anni, alcuni di loro ci hanno addirittura preceduto oltre la soglia. In ogni caso, personaggi straordinari per forza intellettuale, lucidità, capacità di relazioni, amore al loro territorio. Una generazione di direttori forse irripetibile. Sapevano cos’era stato il 1948, la lunga stagione democristiana, il 1968, la crisi culturale e quella della rappresentanza politica. Pativano e gioivano con la loro gente. Don Cacciami era uno di questi, anzi ne è stato per lungo tempo e per loro scelta il leader: già il fatto stesso che sapesse coordinare un settimanale – quello di Novara – che stava alla confluenza di ben otto giornali sub-locali, facenti capo alle varie zone o valli, lo rendeva un autentico capitano di ventura. Di suo poi ricopriva altri incarichi e coltivava quelli che per lui erano hobby, ma consistevano in altrettante occupazioni che, in altri contesti, avrebbero assorbito le energie di diversi preti.

Si può dire legittimamente di questi direttori che abbiano “guidato” le loro comunità nel travaglio conciliare e nei due decenni successivi con grande maestria. Certo, il verbo guidare qui ha un senso diverso da quello che esso intende allorché si parla dei vescovi; ma sempre guidare era le rispettive comunità ecclesiali, stimolarle, trattenerle insieme, mediare tra le diverse tendenze, convincere e bacchettare. I vescovi passavano, ma loro rimanevano sulla breccia: per adattare l’andatura diocesana al ritmo del nuovo pastore, per spiegare, ragionare, far convergere, lasciar intendere, suggerire… Insomma influire sul pensiero comune, in vista di una convergenza mai raggiunta una volta per sempre. Don Cacciami in questo era un mago, per di più gli piaceva spiazzare, e all’occorrenza non disdegnava di fare il gigione, scuotere, parlare per paradossi. Ma in una realtà complessa, puntualmente riusciva a individuare il filo che avrebbe sciolto la matassa. In una stagione che sciaguratamente snobbava l’idea stessa delle “opere cattoliche”, questi ha tenuto duro, con la forza di ciò in cui credeva e con uno straordinario spirito di concretezza. Si potrebbe parlare, nel suo caso, di una managerialità ante litteram.

Era credibile in redazione e sul territorio, interlocutore ricercato, amico di tutti e complice di nessuno, sapendo tenere nella giusta autonomia e dentro il rigore di una linea coerente i propri fogli. È stato il promotore di una elaborazione di idea di settimanale cattolico che, a quel che mi risulta, resta ineguagliata. Geloso del suo lavoro e impavido. A suo modo anche un anti-conformista, quel tanto anzi che non guastava, e anzi spesso divertiva, ma serviva per disinfettare le incrostazioni e sciogliere i grovigli. Faceva sorridere quando attaccava con la lamentela sui preti sessantottini, parolai e inaffidabili, tutta liturgia e un interesse solo finto per le cose di questo mondo, ma bravissimi – a suo dire – a inciampare nei massimalismi astratti e inconcludenti. Per istinto naturale credeva perdutamente nelle sinergie interne ai media cattolici e alle opere cattoliche, sapeva cosa significa incidere realmente, fare catena, acquisire consenso. Il suo sogno era una marcata soggettività del mondo cattolico, una soggettività capace di farsi rispettare senza arroganze ma anche senza soggezione. Non ci manca nulla – diceva – per essere quello che dobbiamo: basterebbe volerlo. È stato un grande animatore, un anima generosa, un amico fedele. Un prete geniale.

Dino Boffo – direttore Tv2000

(17 aprile 2012)

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