Prete o giornalista?

Una domanda che cade di fronte alla sua statura

A poco più di una settimana dalla sua morte, è forse il momento di ripensare alla figura di mons. Giuseppe Cacciami e al suo ruolo nella storia della Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici) e nel mondo del giornalismo cattolico. Certo, lui è stato uno dei fondatori della Fisc stessa; ne è stato, come presidente, l’anima per due mandati; è stato anche colui che ha “inventato” quel grande strumento di servizio ai settimanali diocesani che, proprio grazie alle radici da lui poste, è diventato col tempo un ottimo segno di comunione nella Chiesa italiana e, anche, nelle Chiese d’Europa, il Sir (Servizio Informazione Religiosa) che oggi costituisce uno strumento d’informazione e di comunicazione insostituibile.

Ma, per ricordare in pienezza don Cacciami, occorre andare oltre le sue “creature” per parlare del giornalismo cattolico in quanto tale. Cosa vi ha seminato don Giuseppe? Ecco, direi che lo ha segnato definitivamente di quella caratteristica fondamentale che è il legame profondo con il territorio e con la gente. Territorio e gente, non per dimenticare la Chiesa e l’informazione ecclesiale, ma per realizzare nel giornalismo la vera vocazione della Chiesa stessa: l’incarnazione. La sua può essere considerata un’azione di declericalizzazione dell’informazione ecclesiale. Grazie al suo pensiero si è giunti a quella definizione dei settimanali diocesani non come giornali d’informazione ecclesiale, bensì giornali ecclesiali d’informazione generale sul territorio; quindi, non giornali di Chiesa, ma giornali della Chiesa, di tutta la Chiesa. Giornali della Chiesa e giornali della gente. Strumenti d’informazione “laici” nel senso vero, nobile, di tale parola.

Non era questa una novità assoluta, è vero; già nel secolo XIX i giornali del Movimento cattolico italiano avevano portato avanti questa scelta; ma, a causa di momenti storici difficili, soprattutto tra la prima e la seconda guerra mondiale, in molti casi i settimanali diocesani avevano dovuto restringere il loro ambito d’interesse. Cacciami, insieme a coloro che con lui si sono cimentati nel mettere in seno alla stampa cattolica il seme del Vaticano II, ha riportato il giornalismo alla sua origine, alla sua naturale missione, quella indicata nel Decreto conciliare sui mezzi di comunicazione sociale Inter mirifica, nello spirito della Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes, là dove dice, nel proemio: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.

Questo fondamentale spirito conciliare, immesso nel giornalismo cattolico, ha fatto sì che esso diventasse non solo uno strumento di evangelizzazione, ma, prima ancora, strumento di umanizzazione. Questo è stato il lascito di don Cacciami a tutti noi direttori di settimanali diocesani; lascito importante e impegnativo, che oggi non sempre trova pieno riscontro in alcuni settori del mondo cattolico, tentato di tornare a un’informazione solo ecclesiale, riducendo magari il ruolo del settimanale a una funzione esclusivamente intraecclesiale, se non addirittura catechistica, con il pesante rischio di una ricaduta clericale, che porterebbe a un’insignificanza dei nostri settimanali nel territorio.

Cacciami ha potuto fare questo servizio importante alla stampa diocesana grazie alla sua forte personalità di uomo e di prete. Ed è importante, a questo punto, raccontare di lui, del suo modo di essere prete e giornalista allo stesso tempo, senza cedimenti nell’una o nell’altra parte. Come prete si sentiva chiamato a comunicare la verità di Dio all’uomo e la verità dell’uomo nella luce di Dio; come giornalista sentiva di dovere leggere le vicende della cronaca e dell’attualità nel pieno rispetto della loro verità antropologica e della loro finalità personale, comunitaria e anche cristiana. Prete giornalista o giornalista prete? Una domanda che in lui, a mio parere, non si poneva: totalmente prete e fedelmente giornalista. Questo anche grazie a una carica umana e pastorale di alto livello.

A questo punto, mi piace dare spazio ai ricordi: chi, come me, giungeva alla Fisc digiuno e impreparato a questa dimensione, trovava in don Giuseppe un’accoglienza calorosa, maschia, stimolante. Lui trovava il tempo di leggere quanto andavo scrivendo sul mio settimanale “La Vita Cattolica” di Cremona, per darmi indicazioni, suggerirmi mutamenti di rotta, sempre costruttivamente critico e, allo stesso tempo, sempre amico stimolante al crescere nella professionalità.

Gli anni della sua presidenza sono stati un tempo di grande calore umano, di ricca creatività. I convegni annuali, da lui presieduti nelle varie città d’Italia, diventavano, sotto la sua guida, momenti non solo di crescita umana e professionale, di rafforzamento delle amicizie, ma anche occasioni di gioia e di festa. Come dimenticare quelle serate nelle quali, durante la cena di gala, si metteva accanto al pianoforte, a cantare con quella sua bella voce? I suoi saluti agli ospiti, in quelle occasioni ci mettevano di fronte a uno spirito allegro, capace di mettere insieme le cose serie con lo scherzo simpatico e vivace. Creando così quel clima che faceva di noi, prima ancora che colleghi, veri amici.
Davvero, caro don Giuseppe, dimenticarti sarà impossibile.

Vincenzo Rini – presidente Fisc dal 1999 al 2004

(29 marzo 2012)

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