Cambia la vita

Dall'evento a un impegno rinnovato per l'annuncio e la testimonianza

È una questione che cambia la vita. “Chi si affida a Gesù come persona viva – e non come un’idea astratta – ha la vita cambiata”, afferma mons. Ignazio Sanna, vescovo di Oristano e tra i relatori al simposio “Gesù nostro contemporaneo”, organizzato dal Comitato Cei per il progetto culturale. All’indomani dell’evento il SIR ha incontrato il presule per riflettere su alcuni snodi centrali emersi dai lavori.

Qual è il messaggio chiave che ha visto emergere dal simposio?
“L’idea centrale era rendere contemporaneo Gesù, liberarne la figura da un ricordo puramente storico e renderlo protagonista della nostra vita di fede e della nostra testimonianza. Gesù non è un’idea, né un grande personaggio storico dei tanti che, però, non ci cambiano la vita. La contemporaneità di Gesù è possibile, ci dà speranza, fiducia nel futuro, nel rinnovamento. In continuità con il precedente convegno del progetto culturale – ‘Dio oggi’ – anche qui si può applicare lo slogan ‘con lui o senza di lui cambia tutto'”.

L’incontro con Gesù avviene attraverso la Chiesa, come ci ha ricordato in apertura il card. Bagnasco. Una Chiesa – ha detto il cardinale – “fragile” e bisognosa di “purificazione” ma ricolma “dell’amore divino”. In un contesto in cui spesso è attaccata e fatta bersaglio di accuse, come può mostrare il volto di Cristo all’uomo contemporaneo?
“Per incontrare Cristo non si può fare a meno della Chiesa, via privilegiata e fondamentale. Slogan come ‘Gesù sì, Chiesa no’ sono senza senso. Una Chiesa che è assistita dallo Spirito, ma fatta di uomini, e come tale esposta a rischi, infedeltà, scoraggiamenti. Sulla quale, però, sempre c’è la garanzia dell’assistenza di Gesù. La Chiesa è, dunque, la via privilegiata, anche se dobbiamo continuamente rinnovarci per presentarne il volto più bello. Seconda via per incontrare Cristo sono gli uomini che lo testimoniano. Pensiamo ai tanti cristiani perseguitati, in varie parti del mondo, solo per il fatto di essere battezzati. Sembra di essere tornati ai primi tempi, quando con il sangue dei martiri si è gettato il seme della cristianità. Poi pensiamo ai poveri, ai giovani in cerca di risposte, ai malati. Sul loro volto noi incontriamo Cristo. E sono tante le persone che si sforzano di vedere questa presenza in chi soffre e ha bisogno del nostro aiuto e della nostra solidarietà. Non si può separare la fede dalla carità; si tratta di fare il bene con la fede, e anzi questa ci aiuta a fare ancora meglio il bene”.

Ai giovani di oggi cosa dice la figura di Gesù? Come fare in modo che questi si accostino al Gesù reale, e non a un’idealizzazione fatta a proprio uso e consumo?
“Oggi c’è un deficit di esemplarità, di paternità. Il mondo in cui si vive sembra incapace di trasmettere valori. Ma nel momento in cui questi vengono generati con la testimonianza, i giovani ne sono avvinti. Gesù va presentato non come un giudice o un eroe talmente inaccessibile che scoraggia, ma mostrando quel Gesù che è vicino, condivide le aspirazioni, le speranze e pure le difficoltà dei giovani. Bisogna mettere in evidenza la dimensione umana della divinità di Gesù. Pensiamo agli anni della sua vita privata, nella quale ha dimostrato che si può essere fedeli alla missione del Padre nella quotidianità, nelle azioni feriali. Dobbiamo essere più solidali con i giovani, con i loro dubbi e incertezze, e far capire che pure attraverso il loro cammino tormentato si può arrivare all’incontro con Cristo e a una visione più serena della vita”.

In un tempo dedicato alla nuova evangelizzazione è stata messa in rilievo la “stanchezza” dell’annuncio, che porta a trasmettere “un cristianesimo stanco e insipido”. Cosa è chiesto ai cristiani per tornare a una testimonianza avvincente, energica ed entusiasta?
“Partirei da una citazione di Nietzsche. ‘Io crederei all’esistenza del Salvatore se voi aveste una faccia da salvati’. Il cristianesimo va presentato come un messaggio di vita, di gioia, e non come una rinuncia. Trasformare i ‘no’ in ‘sì’: il no alla morte è un sì alla vita. Più che stanchezza dell’annuncio, il problema a mio avviso è la fatica: la fatica del credere di fronte ai mali del mondo, alla sofferenza, all’ingiustizia. Ma presentare il volto sereno, bello e gioioso del Vangelo è molto meglio di un annuncio che faccia leva sul sacrificio, sulla rinuncia. Quanto più si è in comunione con Dio, tanto più si è liberi: la vera libertà non è svincolarsi dall’amore di Cristo, ma prenderlo come leva della nostra libertà, della nostra autonomia dalla cultura dominante, dai luoghi comuni. Aderire a Cristo aumenta la nostra libertà”.

Come far sì, ora, che le riflessioni emerse a “Gesù nostro contemporaneo” abbiano una ricaduta sul territorio?
“Questa bella esperienza non deve rimanere qualcosa di soggettivo, bisogna essere capaci di comunicare quel che si è vissuto. Compito del progetto culturale presente nelle singole diocesi è far fruttificare il seme che si è gettato, mettendo mano alla fantasia e alla creatività. Tante sono le iniziative che possono essere portate avanti, grazie anche agli spunti emersi. Questo convegno non va ricordato come una celebrazione, ma dev’essere una motivazione per un impegno rinnovato”.

(14 febbraio 2012)

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