La prossimità di Dio

La riflessione di P.Sequeri apre il secondo giorno del convegno su Gesù

"L’annuncio e l’esercizio della prossimità di Dio in Gesù assumono un tratto di tale immediatezza, e una tale portata destinale, da suscitare già di per sé impressione, eccitazione, ammirazione e sgomento". Così il teologo mons. Pierangelo Sequeri ha aperto oggi a Roma, nella seconda giornata dell’evento internazionale "Gesù nostro contemporaneo", la sua riflessione sul tema "La prossimità di Gesù e i limiti del sacro". "I segni della prossimità di Dio sono segni della liberazione dal male e del giudizio di Dio: indisgiungibilmente – ha sottolineato –. Un tale nesso fra prossimità di Gesù e giustizia di Dio porta in primo piano la sovrapposizione di amore e giudizio", ha proseguito affermando che "nessuno può essere esonerato dalla pratica della giustizia, perché nessuno è separato dall’offerta della salvezza di Dio. Ecco il giudizio che l’annuncio della prossimità di Dio comporta". Il teologo fa discendere da questo rapporto tra "prossimità" e "giustizia di Dio" l’esigenza d’impegnarsi per tale giustizia. A questo riguardo ha affermato che "la prossimità di Dio reclama conversione del cuore, mette in campo le opere del riscatto, introduce in un campo di tensione non evitabile: non è faccenda per anime belle, innamorate della propria perfezione".

Basta guerre di religione. Uno dei "sintomi" più evidenti dell’avanzare della "contemporaneità storico-culturale di Gesù" è costituito – secondo mons. Sequeri – dalla percepibile "progressione planetaria del vincolo di prossimità all’interno di tutte le tradizioni istituite del sacro". "Nel decennio in corso – ha notato – il contraccolpo di un’evidenza contraria ha prepotentemente (per non dire violentemente) conquistato la scena. Quello che chiamiamo comunemente fondamentalismo religioso, evoca le potenze extra-evangeliche immanenti alla sfera del sacro indirizzandole contro il principio di prossimità". Questa "lotta contro la prossimità di Dio" si evidenzia in "oscure contiguità del sacro con il potere politico, l’interesse economico, il conflitto etnico, la pulsione identitaria e lo spirito di egemonia". Nonostante la presenza di queste forme di negazione e violenza, mons. Sequeri ha proposto una visione "ottimistica": "Questo impulso regressivo, per quanto non sia affatto da sottovalutare, deve essere considerato nella sua anti-storica anomalia e nella sua reale limitatezza". "Il demos globale dell’epoca a partire dall’interno della Chiesa cattolica – ha notato – si è affettivamente congedato, in vastissima misura, dalle guerre di religione e dal razzismo corporativo".

Il debito della teologia. Questo percorso di purificazione interna alla Chiesa è stato approfondito da mons. Sequeri notando che "il cristianesimo contemporaneo, con evidenza di proporzioni inedite nella storia della sua maturazione del seme evangelico, ha risolutivamente neutralizzato dentro di sé ogni tendenza alla legittimazione del dispotismo violento e del conflitto cruento in nome dell’obbedienza della fede". Secondo il relatore, "l’assimilazione della contemporaneità di Gesù – la cui comprensione progressiva è guidata dallo Spirito, come promesso – registra, su questo punto, un approdo verosimilmente irreversibile. Ogni varco di ammissibilità per la giustificazione di questa pulsione del sacro – la violenza in nome dell’onore e dei diritti di Dio – appare irreversibilmente chiuso". Mons. Sequeri ha concluso affermando: "Penso che la grandezza di questa definitiva esclusione, che riscatta le inerzie del lungo passaggio attraverso la storia, sia ancora largamente sottovalutata dagli stessi credenti. Un tale compimento del principio evangelico di prossimità anticipa – ancora una volta – un corso completamente nuovo della storia. La teologia è in debito, nei confronti della Chiesa, di una riflessione meno estemporanea di questa storica discontinuità dell’istituzione cristiana, rispetto al modello del conflitto di civiltà religiosamente omologato".

(10 febbraio 2012)

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