I diversi volti

LOTTA ALLA POVERTÀ

La proposta di scegliere liberamente di vivere una vita “semplice”. Puntando sull’essere più che sull’avere; resistendo al consumismo e optando per stili di consumi sobri, sostenibili, alternativi. Una via che può rafforzare non solo le “relazioni interpersonali”, ma anche “trasformare la società, aumentando la qualità e la sostenibilità della vita”. E’ la conclusione a cui arriva il capitolo 2 del Rapporto redatto dalle Chiese d’Europa “Non negate la giustizia ai nostri poveri” e dedicato alla povertà come “realtà multidimensionale”. “E’ oggi nuovamente necessario – si legge al termine del capitolo – lavorare contemporaneamente sia per la conversione dei cuori che per il miglioramento delle strutture. In caso contrario, la priorità attribuita alle strutture e all’organizzazione tecnica sulla persona e la sua dignità sarebbe l’espressione di una antropologia materialista e contraria alla costruzione di un ordine sociale giusto”.

Povertà assoluta e povertà relativa. La prima denota la situazione in cui il reddito delle persone non è sufficiente per permettersi beni e servizi. La povertà relativa invece si misura tenendo conto del reddito delle persone in relazione al reddito medio. Essa implica pertanto l’impossibilità per alcuni di partecipare a beni e servizi che la maggioranza della popolazione dà per scontati. “Da una prospettiva cristiana – sottolineano le Chiese – la distinzione tra povertà assoluta e relativa in termini monetari non è sufficiente, dal momento che non può coprire integralmente la realtà della povertà. In senso cristiano, la povertà è una realtà multidimensionale, non limitata ai suoi aspetti materiali. Ci sono anche gli aspetti relazionali e spirituali della povertà”.

Un circuito vizioso. Secondo la prospettiva cristiana, “la povertà e l’esclusione non sono solo l’assenza di beni materiali e benessere sociale. La forza della famiglia e dei legami familiari è fondamentale. Altri fattori sono la solitudine e la rete di sostegno su cui può contare la persona. La povertà conduce alla esclusione sociale e la esclusione sociale conduce alla povertà, ma non sono la stessa cosa”. “Una delle forme più profonde della povertà che l’uomo può sperimentare è l’isolamento: la mancanza di relazioni e legami sociali, qualunque sia la sua condizione socio-economica”.

I gruppi più a rischio: gli anziani, le famiglie, i bambini. Secondo quanto emerge dal Rapporto, ci sono alcuni gruppi sociali che sono a più alto rischio di povertà e di esclusione. Alcuni devono addirittura affrontare discriminazioni multiple, per esempio, le donne disabili o i migranti anziani. Gli anziani sono generalmente le persone più esposte alla povertà a causa della basse pensioni. Il loro tasso di povertà raggiunge il 25% in alcuni Paesi. Nella maggior parte dei Paesi dell’Ue, le famiglie con bambini sono a maggior rischio di povertà rispetto alla popolazione generale (19% tra i bambini contro il 17% tra gli adulti). Emerge inoltre che i bambini che vivono in famiglie senza lavoro o occupate in posti di lavoro che non pagano abbastanza, che vivono con un solo genitore o in una famiglia numerosa sono particolarmente a rischio, in quanto questo tipo di famiglie spesso non sono adeguatamente supportate dalla società. Molto spesso, una trasmissione intergenerazionale della povertà limita le opportunità e le scelte fin dalla prima infanzia, esponendo i bambini a più ostacoli in futuro a causa della loro scarsa formazione, salute e prospettive lavorative.

Povertà è donna. Nell’Unione europea, la povertà e l’esclusione sociale hanno per lo più un volto femminile. Questo perché – si legge nel Rapporto – occupazione, lavoro e retribuzione non sono ancora equamente distribuiti in tutti gli Stati membri dell’Unione europea. I fattori che rendono le donne più povere rispetto agli uomini sono complessi. In molti casi è ancora difficile conciliare le responsabilità familiari con il lavoro retribuito. Se poi si verifica una separazione familiare, sono spesso le donne a correre il rischio più elevato di povertà. Persistono inoltre ancora degli stereotipi che limitano le scelte di occupazione fatta da donne e uomini. Questo influenza le probabilità che hanno le donne di accedere a pari risorse finanziarie, soprattutto se vivono da sole o se il loro stato dipende dal marito (ad esempio nel caso di molte donne migranti).

Stati sociali inadeguati. Le società più efficaci nel combattere la povertà sono quelle che hanno saputo creare il più basso livello di ineguaglianze da redistribuzione di reddito attraverso generose prestazioni sociali e un adeguato accesso ai servizi. Il Rapporto denuncia però che “nel corso degli ultimi venti anni gli Stati si sono ritirati da alcuni dei loro precedenti obblighi e si sono allontanati da un approccio generale e universale riguardo alla lotta contro la povertà. Il welfare è stato trasformato concentrando l’attenzione sulla responsabilità individuale e sulla condizionalità dei benefici sociali che conducono però a una forte individualizzazione dei rischi sociali”. “Ciò significa una sempre maggiore accettazione del fatto che la società non può proteggere l’individuo dal malfunzionamento del mercato del lavoro”. Ma non è tutto: secondo le Chiese, questi cambiamenti sono dovuti al fatto che “gli esseri umani e la società appaiono essere sempre più soggette a pressioni di tipo economico e da una predominante mentalità focalizzata sul profitto e sulla crescita. Seguendo questi criteri, la salvaguardia delle cura alla persone è sempre più spesso sottovalutata, spingendo le persone più vulnerabili nella trappola della povertà e della esclusione sociale. Come cristiani vogliamo con forza schierarci dalla parte dei poveri e degli oppressi e servire, accompagnare e ascoltare in spirito di amicizia; allo stesso tempo e con la stessa forza, vogliamo lavorare per una riduzione strutturale della povertà e della giustizia”.

(30 settembre 2010)

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