Le grandi domande

Testimoni digitali

“La parola chiave per aiutare a passare dalla connessione a quella comunione che vive di relazioni autentiche” è “testimonianza”. Ne è convinto don Ivan Maffeis, vicedirettore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, intervenuto al “Corso interdisciplinare Bibbia-Arte-Comunicazione”, promosso nei giorni scorsi a Matera dal suo stesso Ufficio e dall’Ufficio catechistico nazionale – Settore apostolato biblico, su “Kerygma. L’annuncio pasquale e i suoi linguaggi”.

Chiesa, web e responsabilità educativa. Nel nostro tempo, in cui “le tecnologie digitali disegnano l’ambiente ordinario della vita di ciascuno” e si manifesta “una sorta di estraneità al vocabolario ecclesiale, quasi che per molti rappresentasse ormai una sorta di lingua straniera”, occorre “un nuovo linguaggio della fede”, ha affermato don Maffeis. In questa cultura, ha osservato, si trasformano il rapporto con le fonti, il modo di intendere l’autorità, lo spazio e il tempo e, soprattutto, “sono le relazioni ad essere profondamente cambiate”. Per le nuove generazioni, in particolare, “lo scenario della comunicazione, più che essere costituito da una serie di strumenti, è un ambiente culturale, una risorsa, che sviluppa un modo di conoscere e di pensare, di informarsi, di comunicare, di gestire gli stessi rapporti; un modo per vivere inclusi, per sentirsi meno soli; un luogo in cui ci si racconta con facilità; uno spazio per la manutenzione delle relazioni”. La Chiesa “non confonde questo nuovo mondo con la Terra promessa: sa che, oltre l’istmo, c’è altro mare, come sa che negli orizzonti aperti dalla rete è più facile anche smarrirsi”. Per don Maffeis, “la sfida della Chiesa non è, quindi, quella di usare bene la Rete, ma di vivere bene al tempo della Rete, affrontando anche in questo contesto la responsabilità educativa”.

Il coraggio di domande radicali. I “nativi digitali”, “nati e cresciuti naturalmente e costantemente connessi”, costituiscono “una generazione che non si pone contro Dio o contro la Chiesa”, ma “che sta imparando a vivere senza Dio e senza la Chiesa” ritenendo la religione “qualcosa di vetusto”. Cosa significa, allora, proporre ai giovani “l’esperienza cristiana come novità che ridona spessore alla vita” evitando sia “la deriva del cinismo”, sia “quella dell’intolleranza?”. Don Maffeis ha richiamato il monito di Benedetto XVI nel discorso alla Curia romana del 21 dicembre 2009: “Come primo passo dell’evangelizzazione dobbiamo cercare di tenere desta la ricerca di Dio; dobbiamo preoccuparci che l’uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale della sua esistenza”. Per questo, ha proseguito il vicedirettore dell’Ufficio Cei, “un primo prezioso servizio che la Chiesa può fare è quello di cercare di educare al coraggio di porsi domande radicali” sul “come stare al mondo” o su “cosa si vuole veramente da questa vita”. Di qui l’importanza di “accostare le persone” prendendo sul serio le loro situazioni e i loro desideri, facendo tuttavia attenzione a “non svuotare il Kerygma”. Nella cultura della comunicazione “l’impegno a coltivare una nuova alfabetizzazione va portato avanti di pari passo con la consapevolezza di come, accanto allo sviluppo di una vicinanza empatica alle tecnologie digitali, sia necessario essere presenti in questo ambiente con modalità che non disperdano l’eccedenza rappresentata dal Vangelo”.

Anzitutto testimone. Condizione previa “rimane la credibilità del comunicatore”; la parola chiave è la “testimonianza”. Il testimone, ha spiegato don Maffeis, “frequenta le fonti, la Tradizione e la cultura cristiana per coltivare l’esercizio del pensare e rinnovare, nel passare degli anni, le proprie convinzioni”; è “voce che si fa riconoscere anche fra mille per la capacità di rendere visibile la speranza”; di qui anche “la riscoperta del linguaggio della poesia, dell’arte, della musica, della domenica, segni di risurrezione, riflessi di quel Kerygma che dona sapienza alla vita”. In un contesto “fortemente eroicizzato” e “attraversato dal culto spesso maniacale del corpo”, il testimone “sa parlare della persona e della sua vita affettiva e sessuale, rispettandone sempre la dignità, difendendola e promuovendola” e “ri-centra in Dio l’insieme delle relazioni: si mette in gioco, accetta di esporsi, abbraccia uno stile di vita evangelico, che incuriosisce ed attrae”. Egli sa inoltre “avvicinare, con un lavoro di mediazione, alla Parola di Dio”, perché, “al di là dell’approfondimento culturale, sia ‘luogo’ che continuamente provoca domande” e “in cui coltivare un rapporto personale con Cristo, fino a farne il criterio di discernimento delle decisioni personali”. Al testimone è anche richiesta capacità di “sentire con la Chiesa”, imparando “l’esercizio della libertà sulle questioni secondarie e quello dell’unità sulle poche veramente essenziali”. Egli punta, in conclusione, “ad avvicinare ad un’esperienza di Chiesa (esperienza ancora più importante dopo gli effetti legati alla scoperta degli abusi sessuali di cui si sono resi responsabili uomini di Chiesa); ad un magistero che è continuazione della Parola nella storia”.

(21 luglio 2010)

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