Internet e il mistero

Testimoni digitali

In vista del convegno Cei “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era cross mediale” (Roma, 22-24 aprile), il SIR ha rivolto alcune domande a don Bruno Cescon, direttore del settimanale della diocesi di Concordia-Pordenone (“Il Popolo”), a proposito delle celebrazioni nel mondo digitale. Sull’ultimo numero del bimestrale delle Paoline “Via, verità e vita” dedicato a “Testimoni digitali”, don Cescon, che è anche docente di liturgia e comunicazione sociale all’Istituto liturgico del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo in Roma, propone una riflessione sul tema. Nello stesso numero della rivista, mons. Domenico Pompili, sottosegretario Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, scrive sulla missione del sacerdote nei nuovi media.

Si può parlare di liturgia nel continente digitale?
“Occorre condurre il confronto su due binari. Il primo binario vede la liturgia trasmessa in radio, tv e internet. Trasmettere celebrazioni liturgiche, va detto subito, è un modo improprio di parlare, perché in realtà si dà soltanto la rappresentazione di un evento liturgico. L’altro binario riguarda l’istituzione di un rapporto critico tra due realtà diverse, quella reale-fisico e quella reale-virtuale, intersecantesi nell’unica vita delle persone in quanto formano un unico ambiente vitale”.

Quali sono le caratteristiche della celebrazione attraverso i nuovi media?
“La messa trasmessa non è la messa in chiesa, con un’assemblea liturgica di persone fisiche e una reale azione liturgica. La liturgia è opus divina mentre la messa ‘digitale’ è una prospettiva sulla liturgia, una realtà mostrata da qualcun altro. Radicalizzando si può sempre osservare che un’azione rituale sotto lo sguardo di non partecipanti corre il pericolo di ridursi a uno spettacolo teatrale, soprattutto se viene seguita soltanto per interesse estetico o semplicemente conoscitivo. La messa in internet costituisce un metalinguaggio che implica il passaggio dal linguaggio della liturgia al linguaggio digitale che comunque ha le caratteristiche della rappresentazione fittizia, simulatoria. Detta schiettamente e con qualche eccesso si tratta di una simulazione della liturgia. Per questo occorre rispettarne il messaggio di fondo”.

Il digitale permette alla Chiesa di allargare il proprio orizzonte comunicativo…
“Alla Chiesa è data la possibilità di comunicare la sua proposta di fede e di umanità non soltanto a coloro che credono e che appartengono alla sua comunità ma a tutti gli uomini. Viene a far parte di un ambiente dove i mondi umani e culturali non sono più facilmente riconoscibili, con confini precisi, dai quali si poteva entrare e uscire. Nel nuovo contesto i media sono intensificatori di sensibilità e grandi riduttori di distanza con la capacità di continuare a svolgere la funzione di repertori di definizione di mondi, di serbatoi di risorse simboliche, che danno forma al sentire, al pensiero comuni, anche religiosi”.

Quali rischi si corrono?
“Nella grande ‘marmellata’ del mondo digitale il mistero celebrato rischia di non essere assolutamente compreso. Per questa ragione, la Chiesa dovrà essere attenta nella scelta delle comunità da cui trasmettere, nel modo di impostare la celebrazione, nel curare la trasmissione, cosicché il mistero liturgico, pur assolutamente non trasmissibile in bit, possa essere avvicinato. Dovrà aver cura a che il suo annuncio sia semplice in modo da poter interagire con ‘pubblici’ diversi. Tuttavia, non va dimenticato che nella piazza digitale il mistero celebrato è in grado di mettere in comunicazione persone, culture, civiltà distanti. Su di esse può suscitare le reazioni più contrastanti: dalla curiosità al rifiuto, dall’adesione all’indifferenza”.

I nuovi media offrono, però, anche grandi potenzialità…
“L’interattività e l’interconnessione proprie della galassia internet, che tende a trasformarsi in una network-society, permettono di generare nuove relazioni di preghiera, carità e pensiero tra fedeli e anche tra non credenti. A proposito si può parlare di ‘cross-comunities’ religiose e umane. La connettività diventa per così dire ecclesiale. In questa logica la comune partecipazione ‘intenzionale’ alle celebrazioni liturgiche può rafforzare un senso di appartenenza alla Chiesa, trasversale alle culture, ai popoli, alle etnie, alle stesse civiltà”.

(09 aprile 2010)

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