Segnali per il futuro

ELEZIONI EUROPEE

Si sono appena celebrate le elezioni del Parlamento europeo e quello che più attira l’attenzione è la chiave nazionale che ha caratterizzato tutto il processo elettorale. Per incominciare, non smette di sorprendere che i deputati di una stessa istituzione siano scelti in base a sistemi elettorali diversi in ogni Stato. Nella campagna elettorale i temi predominanti sono stati quelli presenti nell’agenda politica di ogni paese. E una volta celebrate le elezioni, i risultati ottenuti per i partiti sono stimati in chiave nazionale: come avallo o esautorazione dei rispettivi governi e delle loro politiche.

Tutto ciò non è tanto strano come a prima vista potrebbe sembrare: in assenza di una vera opinione pubblica europea, è difficile che i dibattiti su temi comunitari riescano a captare l’attenzione della cittadinanza. Al massimo, detti temi sono discussi dentro il prisma degli interessi di ogni Stato da partiti che, benché si raggruppino in grandi famiglie politiche europee, perseguono obiettivi prevalentemente nazionali. Non è un caso che ogni Paese abbia affrontato la crisi per conto suo. Risulta curioso che la “dimensione europea” di queste elezioni sia stata invocata da un nuovo partito transeuropeo con candidature in quasi tutti i paesi – Libertas, spinto per chi ha dominato in Irlanda l’opposizione al Trattato di Lisbona nel referendum di 2008 – e che ha ottenuto un sonoro fallimento.

È aumentata anche l’astensione: quasi il 57%, due punti in più di 5 anni fa. La campagna istituzionale che invitava al voto, la quale faceva presente che buona parte della legislazione dei nostri paesi ha la sua origine a Bruxelles o che il Parlamento interpreta ogni volta un ruolo maggiore nel controllo delle istituzioni comunitarie, non è riuscita a motivare gli elettori. Benché la bassa partecipazione sia un dato generale, ci sono sfumature da paese a paese a seconda che il voto sia un diritto o un dovere, o se è coinciso con altre elezioni nello stesso giorno. In qualsiasi caso, è un fatto che i cittadini non percepiscono la rilevanza del Parlamento europeo con la stessa intensità delle istituzioni rappresentative nazionali. Si parla di lontananza, di mancanza di informazione. Forse è più semplice: l’elettore sa individuare dove si adottano le decisioni nazionali e… europee. Di qui l’importanza che le istituzioni rappresentative nazionali siano coinvolte nel controllo delle politiche europee.

Tra coloro che si avvicinano alle urne, le elezioni al Parlamento europeo sono usate non da pochi per esprimere uno scontento contro il rispettivo governo e dare un segno (come è successo, in modo diverso, nel Regno Unito e in Spagna). Per questo motivo un certo numero di elettori è propenso a opzioni “minori” a scapito dei grandi partiti. I Verdi in Francia si situano quasi a livello del Partito socialista o il Partito dell’indipendenza in Gran Bretagna sorpassa i laburisti. Per non parlare dei buoni risultati raggiunti dalla Lega e dall’Italia dei valori in Italia, o dal Partito liberale, i Verdi e la Sinistra in Germania. In questo contesto, anche i partiti estremisti ottengono maggiore appoggio popolare che in un altro tipo di elezioni (Partito della libertà in Olanda, Partito nazionale britannico, Jobbik in Ungheria riescono per la prima volta ad avere rappresentazione), e non sono mancati gruppi pittoreschi come il Partito Pirata in Svezia. Questi gruppi sono soliti introdurre nel dibattito politico altri temi, cominciando dal mettere in dubbio il modello di integrazione europea (i partiti euroescettici). Vale la pena sottolineare infine la vittoria ampia dei gruppi popolari e conservatori di fronte ai socialisti: più di 100 parlamentari di differenza tra il Ppe e il Pse, ai quali bisognerebbe sommare altri partiti di centro-destra. Sembra che in momenti di grave crisi economica e istituzionale, l’elettorato si affidi a formazioni di centro-destra, senza che questo supponga necessariamente l’opzione per un voto più ideologico. Benché il Parlamento europeo funzioni generalmente attraverso ampi consensi, il molto eterogeneo centro-destra europeo assume ora la responsabilità di offrire una via di uscita dalle crisi istituzionali ed economiche del Vecchio continente.

Bisognerà vedere in che termini lo farà. Può servire forse il caso spagnolo come esempio di due possibili vie: mentre il leader del PP Rajoy ha centrato i suoi discorsi su questioni pratiche – l’incapacità del governo socialista di affrontare la crisi economica -, il primo candidato popolare Mayor ha puntato il dito sul dibattito culturale che il PSOE ha sollevato (ampliamento dell’aborto, Europa sociale), situando l’origine della crisi nella perdita di valori morali, e al tempo stesso ha sostenuto il rafforzamento delle politiche a favore della famiglia e ha ricordato gli ideali che stanno alla base dell’Europa.

Josep Castellá – Università di Barcellona

(12 giugno 2009)

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