Pensieri dopo il voto

ELEZIONI EUROPEE

I risultati delle elezioni del 4-7 giugno consentono di determinare quali partiti prevalgono su scala nazionale ed europea e quali candidati siederanno sugli scranni di Strasburgo per la legislatura 2009/2014. Ma limitarsi a trarre dagli esiti delle urne solo indicazioni “parlamentari” sarebbe un grave errore. In realtà alcune tendenze emerse pongono interrogativi che trascendono il voto stesso e che non possono essere sottovalutati, pena la rinuncia a rilanciare, aggiornandolo, il progetto comunitario nel quadro di una realtà in rapida trasformazione.

Quali indicazioni si possono desumere, ad esempio, dal fatto che solo 4 elettori su dieci si sono recati ai seggi per votare i loro rappresentanti all’Assemblea? È l’Europa ad avere poco appeal oppure è la politica tout court ad essere in crisi? E cosa si può dedurre dal record di astensioni registratosi nei paesi dell’est, quelli che, per varie ragioni, hanno ricevuto molto dall’Ue a partire dalla caduta della Cortina di ferro, in termini di rafforzamento democratico, di stabilità politica, di aiuti economici? Come interpretare il rafforzamento delle posizioni nazionaliste, euroscettiche e persino xenofobe che gli elettori traducono nella scelta di partiti che fanno campagna elettorale contro l’Unione stessa, contro gli “stranieri”, contro le fasce sociali più deboli, contro i “diversi” di ogni tipo, fossero anche solo persone di altra cultura, di altro colore o di altra fede religiosa? Le “radici cristiane” dell’Europa sono emerse in questa campagna elettorale?

Alcune voci ecclesiali hanno giustamente posto nei giorni scorsi l’accento su due punti: l’astensione e il profilo futuro dell’integrazione. Mons. Adrianus Van Luyn, presidente della Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea), sostiene che “la bassa affluenza alle urne è il segno che manca ancora una società civile europea”. Quindi sottolinea che “le istituzioni Ue, i governi nazionali, i partiti politici ma anche le Chiese devono porsi la domanda: abbiamo contribuito sufficientemente all’emergere di una coscienza europea tra i nostri concittadini?”.
Dal canto suo mons. Aldo Giordano, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, sottolinea che “l’astensionismo denuncia la lontananza di fatto tra cittadini europei e istituzioni”. Ma non si tratta solo di mancanza di informazione (da parte delle istituzioni Ue, dei partiti, dei mass media), c’è dell’altro: nella costruzione europea oggi “c’è forse poca idealità; occorrerebbe rilanciare l’ideale dell’Europa com’era nelle origini”, “capace di affrontare le questioni mondiali con una visione” prospettica chiara. Van Luyn specifica: “Davanti alla crisi economica, ai cambiamenti climatici, alla crisi alimentare a livello globale, non vi è alcuna alternativa a un’Europa unita, che parla con una sola voce e che si impegna per la giustizia e la pace”.

In questa chiave interpretativa, il problema dell’astensione e il futuro del progetto europeo si incontrano. Una Ue fedele alla sua storia, ai suoi valori, capace di essere “unità nella diversità” e di produrre risultati positivi per i suoi cittadini è la prima (forse non l’unica) risposta alla tendenza a sentire l’Ue lontana, inutile o persino arcigna e, per questo, a disertare le urne. Non a caso la Presidenza del Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa), specifica che è necessario rendere l’Unione “una società più giusta, fondata sul rispetto dei diritti umani, sulla dignità della persona, la cooperazione vicendevole, la solidarietà e la sussidiarietà, la giustizia e la difesa della vita”. Il futuro dell’Ue dipende, in gran parte, dall’Ue stessa.

SIR Europa

(10 giugno 2009)

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