Costruire nella fiducia

CHIESA ED EUROPA

Dopo la rassegna di “appelli” delle Conferenze episcopali europee per la partecipazione alle elezioni del Parlamento europeo, SIR Europa ha posto alcune domande al card. Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest, primate d’Ungheria e presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee).

Quale è a suo avviso il contributo che i cattolici sono chiamati ad offrire oggi all’Europa perché ritrovi le motivazioni dei Padri fondatori e soprattutto risponda all’appello che il Papa ancora una volta ha lanciato domenica 24 maggio da Montecassino?
“L’Europa ha bisogno di Cristo. Trasmettere i valori umani e cristiani, formare il mondo terreno secondo lo spirito del Vangelo – questa è la missione dei cattolici in tutte le società. Come insegna il Concilio Vaticano II (Apostolicam Auctositatem 7), tutte le realtà che costituiscono l’ordine temporale, cioè “i beni della vita e della famiglia, la cultura, l’economia, le arti e le professioni, le istituzioni della comunità politica, le relazioni internazionali… non soltanto sono mezzi in relazione al fine ultimo dell’uomo, ma hanno anche un valore proprio, riposto in esse da Dio, sia considerate in se stesse, sia considerate come parti di tutto l’ordine temporale”. Tale bontà naturale discende dalla creazione stessa, e riveste una dignità speciale nel rapporto di tutte queste cose con la persona umana. Le parole del Concilio suonano oggi forse in modo nuovo. Se negli anni ’60 era importante sottolineare che l’ordine temporale è pieno di cose preziose che possiamo usare con responsabilità e con rendimento di grazie, oggi le stesse parole suonano come difesa del valore della persona umana e della creazione minacciata da molti fattori. Per questo, la stessa posizione del Concilio sembra incoraggiare gli europei e tutta l’umanità, per non perdere la fiducia nel senso del mondo, della vita, della storia, della cultura e delle culture. L’Europa, del resto, era ed è un concetto culturale. Non puramente geografico. E nella cultura di tutte le nazioni europee esistono le basi profonde del cristianesimo. Tali elementi possono costituire un fondamento di solidarietà e di comprensione. Anche se la luce del Vangelo brilla sempre nella penombra della storia, anche se guerre e situazioni disumane non hanno risparmiato l’Europa nemmeno nel passato, la speranza della possibilità di conversione, di ricominciare, di diventare più degni all’immagine di Dio che tutti portiamo in noi è indistruttibile”.

La Chiesa cattolica non entra in campo politico e assolutamente non dà indicazioni elettorali. Richiama però alla coscienza dei cittadini i principi non negoziabili: ritiene che oggi ci sia un laicato in grado di tradurre queste indicazioni in impegno politico per l’Europa?
“Quando la Chiesa richiama alla coscienza dei cittadini i princìpi della sana ragione, e della Rivelazione, essa compie la sua missione ricevuta da Cristo. È suo compito annunziare e insegnare “la verità che è Cristo, e nello stesso tempo, dichiarare e confermare con la sua autorità i princìpi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana” – così insegna il Concilio Vaticano II nella Dichiarazione sulla libertà religiosa (Dignitatis Humanae 14b). Certamente il laicato impegnato nella vita pubblica ha bisogno dell’aiuto della Chiesa intera. Ha bisogno della preghiera di tutti: dei malati, degli anziani, delle religiose. Ma ha bisogno anche dell’autenticità del messaggio cristiano garantito proprio dal Magistero della Chiesa. Ma la Sua domanda non sembra chiedere soltanto se ci sono laici capaci di rendere una chiara testimonianza nella vita pubblica. Sì che ci sono, grazie a Dio! Sento nella Sua domanda anche un altro accento, e cioè, se questi laici riusciranno realmente a trasformare la società, a far valere questi princìpi. Questo naturalmente non lo può dire nessuno. Certamente in taluni contesti la voce dei cristiani convinti sembra troppo debole. In alcune votazioni parlamentari la maggioranza spesso non sembra tenere presente quei valori che per i cristiani sono fondamentali. E che, per noi, non sono tutti princìpi rivelati, ma, non di rado, criteri di sana ragione. Eppure, non sono accettati da molti. Per dare un’idea sulle possibilità dei laici, devo ricordare l’epoca del socialismo “reale”. La costituzione pastorale Gaudium et spes enfatizza la collaborazione dei cristiani nella vita pubblica, ma non la fa in modo ingenuo. Sa bene che la responsabile collaborazione dei cittadini può conseguire ottimi risultati nella vita politica quotidiana, se esiste “un ordinamento giuridico positivo, che organizzi un’opportuna ripartizione delle funzione e degli organi del potere, insieme ad una protezione efficace e indipendente dei diritti” (Gaudium et spes 75b). Durante il socialismo reale mancavano le condizioni per la partecipazione alla vita politica da parte dei cattolici convinti, perché la forza guida della società era – in alcuni Paesi persino espressamente stabilita nella costituzione – il partito “marxista-leninista della classe operaia”. Ma neanche i marxisti potevano seguire le loro idee in politica. Dovevano conformarsi alla disciplina del partito. I cattolici potevano allora formare il mondo secondo il Vangelo, essendo onesti sul posto di lavoro e nella vita quotidiana, ma non potevano partecipare ufficialmente alla grande politica. Rispetto ad allora, le possibilità dei cristiani sono migliorate. E quindi, non sembra inutile in Europa l’impegno di laici responsabili persino a livello della vita politica. Quanto al risultato: a Dio tutto è possibile, anche se le probabilità umane sembrano modeste”.

L’euroscetticismo come il suo opposto non fanno parte della cultura cristiana: come far crescere nella comunità cristiana un atteggiamento responsabile e costruttivo?
“Come ho appena detto, l’atteggiamento responsabile e costruttivo dei cristiani nel mondo è un dovere generale. I modi e le forme di questo contributo dipendono però fortemente dalla struttura delle singole società. Se la società è composta da cittadini autonomi che hanno un’esistenza economica più o meno autonoma, se la democrazia non è soltanto un insieme di alcune forme istituzionali, ma comporta la possibilità reale per i cittadini di contribuire in modo attivo alla formazione della vita pubblica, dell’economia, della cultura, di ogni settore di beni temporali, allora la partecipazione cristiana può assumere quelle forme cui pensavano i grandi personaggi cristiani che furono tra i fondatori e i costruttori della nostra casa europea. È importante che l’autonomia intellettuale e la libertà vera e propria delle persone vengano coltivate e rinforzate in tutte le parti del mondo. Uno dei rischi più grandi della democrazia sembra essere la distrazione e la superficialità. Se questi atteggiamenti diventano generali, la gente può disabituarsi a ragionare secondo logica, a valutare le proprie esperienze, i programmi, i rischi e le opportunità che dobbiamo affrontare insieme nella società. È quindi importante curare, coltivare la base antropologica della partecipazione consapevole dei cittadini nella formazione del nostro futuro comune. La cultura cristiana è una cultura personalista che non cede alle tentazioni di un estremo individualismo, o di un collettivismo unilaterale che disprezza la dignità dell’individuo della persona umana”.

Come presidente del Ccee lei è impegnato per la crescita dell’attenzione reciproca tra le Chiese europee. Quali segnali sta cogliendo? Questo dialogo che cosa dice al faticoso percorso di allargamento europeo?
“Il dialogo tra i cristiani e l’ulteriore allargamento dell’Unione Europea non sono cose strettamente connesse, anzi, la solidarietà cristiana e il dialogo devono estendersi in ogni continente, e non possono dipendere dalle strutture politiche del momento. Eppure, già la caduta della cortina di ferro ha aperto maggiori possibilità per questo dialogo, si può viaggiare liberamente – cosa che prima non era affatto naturale –, e così il mutuo conoscersi contribuisce al superamento dei pregiudizi e della chiusura mentale. Allo stesso tempo, l’esperienza della diversità apre i nostri occhi ai valori propri delle nostre comunità, e ci insegna ad apprezzare anche i valori degli altri. Per quanto riguarda la sfida comune del relativismo, i cristiani si sentono più vicini l’uno all’altro. In altre regioni del mondo, dove i cristiani sono in una piccola minoranza, si fa ogni giorno l’esperienza dell’importanza della parola “cristiano”. Il nostro battesimo comune ci collega infatti con vincoli indelebili. Ciò non vuol dire però che vogliamo minimizzare in modo ingenuo le differenze che tuttora esistono tra le diverse confessioni cristiane. La strada è ancora lunga, ma i segni di buona volontà non mancano, e la divina provvidenza non ci abbandona. Speriamo che l’unità dei cristiani non arrivi soltanto in un momento drammatico ed escatologico come immaginava con forza visionaria il grande scrittore russo Soloviev”.
(03 giugno 2009)

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