Parole per il futuro

TERRA SANTA

“Mi sono presentato come pellegrino di fede nella Terra dove Gesù è nato, ha vissuto, è morto ed è risorto, e, al tempo stesso, come pellegrino di pace per implorare da Dio che là dove Egli ha voluto farsi uomo, tutti gli uomini possano vivere da suoi figli, cioè da fratelli”. Nelle parole di Benedetto XVI, pronunciate nell’udienza del 20 maggio, c’è tutto il significato del suo viaggio apostolico in Giordania, Israele e Territori Palestinesi (8-15 maggio). Su questa visita, la terza di un Papa in Terra Santa, il SIR ha chiesto un parere al custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa.

“Pellegrino di fede”, Benedetto XVI in Terra Santa ha incontrato i cristiani locali. Che impressione ne ha tratto?
“Da questo viaggio è emerso prepotente l’aspetto pastorale, come ha ricordato lo stesso Benedetto XVI nell’udienza del 20 maggio. Sia in Giordania sia in Israele e Territori palestinesi ha incontrato le diverse componenti della realtà ecclesiale della Terra Santa, dai disabili agli studenti, dai giovani alle famiglie fino alle persone anziane e via dicendo. Questo viaggio ha dato una visibilità fortissima alle comunità cristiane locali alle quali Benedetto XVI ha ripetuto parole d’incoraggiamento e di speranza, «non temere piccolo gregge», «non siete soli», «abbiate speranza nel futuro». Il Papa ha dato loro chiare indicazioni per il futuro”.

Queste parole si possono considerare una risposta a quel senso di abbandono che lamentano i cristiani in Medio Oriente?
“Benedetto XVI ha dimostrato di conoscere a fondo la realtà del cristianesimo di Terra Santa ed ha per questo saputo dare delle indicazioni pastorali molto concrete. La prima, fondamentale, ha invitato i fedeli a riscoprire la loro vocazione nei Luoghi Santi e lo ha fatto richiamando la Resurrezione nel corso della preghiera al Santo Sepolcro. Tra i cristiani locali spesso c’è una tendenza a piangersi addosso e gli incoraggiamenti di Benedetto XVI sono stati puntuali. L’essere minoranza e in difficoltà non deve diventare un pretesto per non fare nulla. Benedetto XVI ha ribadito che il fatto che essendo piccoli è più facile diventare ponti di pace e di unione. C’è poi un’altra risposta…”.

Quale?
“Quella che arriva dalle tante iniziative portate avanti dalla Chiesa in Terra Santa, per migliorare concretamente la vita dei cristiani. Custodia, patriarcato, con associazioni e diocesi di ogni parte del mondo animano diversi progetti come gemellaggi e programmi di sviluppo in vari campi, casa, istruzione, sanità, lavoro, giovani. è vero anche che si potrebbe fare di più”.

Il Pontefice, da “pellegrino di pace”, ha incontrato anche i leader israeliani e palestinesi: oltre al senso di equilibrio politico c’è un elemento che, nei suoi discorsi, è emerso con più vigore?
“Il coraggio. Nel suo dialogo con le autorità israeliane e palestinesi Benedetto XVI è stato molto coraggioso. In genere, quando si viene in Terra Santa, si corre il rischio di stare nel copione palestinese o in quello israeliano o in quello più generico della riconciliazione. Il Papa invece ha parlato in modo chiaro del muro sia ai palestinesi sia agli israeliani, ha ribadito che la soluzione del conflitto passa attraverso la creazione di due Stati per due popoli. Nella sua chiarezza non ha parlato contro Israele o contro i palestinesi, ma ha espresso le sue indicazioni che sono, da sempre, quelle della Chiesa. Lo ha fatto in maniera forte, mantenendo aperta la porta ai suoi interlocutori. Ci ha dato un esempio di come si può essere ponte pur essendo piccoli”.

Molti si attendevano dal Papa riferimenti alla Shoah e al negazionismo e così è stato. Può bastare per ricostruire l’immagine della Chiesa davanti all’opinione pubblica israeliana?
“Benedetto XVI ha condannato con forza il negazionismo e la Shoah, ma la stampa israeliana non si è mostrata molto generosa nei suoi confronti. Per questo credo che ci vorrà del tempo per vedere un cambiamento di atteggiamento nell’opinione pubblica israeliana nei confronti della Chiesa cattolica”.

Questa visita poteva rappresentare l’occasione giusta per chiudere l’accordo fiscale tra Santa Sede e Israele, ma forse bisognerà aspettare il 10 dicembre quando si terrà la plenaria bilaterale. Ci sono speranze in questo senso?
“Ci sono le condizioni per chiudere l’Accordo entro la fine dell’anno. Buona parte dei punti è stata risolta. La questione dell’esenzione fiscale è a buon punto ma resta in piedi quella dei Luoghi Santi ed altre ancora che si stanno discutendo in questi momenti. Il Cenacolo (dal 2000 si discute della restituzione alla Chiesa da parte israeliana, ndr), è una questione che ha una storia a sé e che va studiata a fondo. Come il rilascio dei visti ai religiosi, in particolare a quelli provenienti dai Paesi arabi del quale s’è parlato anche recentemente con il primo ministro ma non ci sono cambiamenti immediati. Ci auguriamo, tuttavia, una normalizzazione a breve termine”.

(22 maggio 2009)

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