Credente tra i credenti

BENEDETTO XVI

Appena conclusa la visita, che Benedetto XVI vuole che sia propriamente chiamata pellegrinaggio, nella Terra Santa, sono iniziati i commenti a molte voci, tendenti a stilare un bilancio. Lo hanno fatto i giornali di tutto il mondo con toni positivi, persino entusiasti, tranne qualche voce isolata che si aspettava “di più”. Un “di più” soprattutto di passione e di enfasi, difficile da ottenere da una Papa non retorico. Ma importante è la soddisfazione dei diretti interessati, cristiani e cattolici di quelle terre che si sono sentiti rassicurati e rinforzati nella decisione di rimanere lì. Il patriarca di Gerusalemme dei Latini ha percepito e rilanciato l’invito a non fuggire: “Ci ha chiesto di rimanere – ha affermato in un’intervista a L’Osservatore Romano del 17 maggio – di resistere nonostante la complessità della situazione, perché questi sono anche i luoghi della croce”. E il francescano Pierbattista Pizzaballa ha concordato con questa valutazione ritenendo che il Papa abbia incoraggiato i cristiani a rimanere e a consolidare l’unione dei nuclei familiari. Lo stesso Benedetto XVI ha pensato bene di fare il bilancio dal suo punto di vista di protagonista dell’evento. Lo ha iniziato già al momento della partenza all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, dove, oltre ai saluti e ai ringraziamenti, ha ricordato i momenti più forti e commoventi della sua visita elogiando ed esortando gli sforzi tesi a realizzare una pacifica convivenza, rilanciando l’appello e l’auspicio che il muro venga abbattuto, la cessazione di ogni forma di violenza e l’avvento di una pace stabile. Il Papa, amico di ebrei e palestinesi, non può che desiderare rapporti amichevoli e di collaborazione tra questi due popoli.

Un bilancio più dettagliato Benedetto XVI l’ha promesso per mercoledì 20 maggio e intanto l’ha in qualche modo anticipato ai giornalisti in aereo ai quali ha confidato tre impressioni. La prima è di aver trovato dappertutto, in tutti gli ambienti musulmani, cristiani ed ebrei, una decisa disponibilità al dialogo, al quale ha dato una valutazione non “politica” ma religiosa, originata dallo “stesso nucleo della fede”, perché “credere in un unico Dio, che ha creato tutti noi, Padre di tutti noi” implica la necessità del dialogo, dell’incontro e della collaborazione. La seconda impressione è un “clima ecumenico molto incoraggiante” riscontrato nel contatto cordiale con il mondo ortodosso ed anche con rappresentanti anglicani e luterani. Il terzo punto indicato ai giornalisti è la costatazione delle enormi difficoltà che permangono nei rapporti tra le popolazioni di questa terra, notando però che queste, le difficoltà, si manifestano in maniera più visibile rispetto al diffuso desiderio di pace, di fraternità che va ulteriormente sostenuto e incoraggiato. Questi concetti sono alla base anche della breve ricostruzione che ha abbozzato nel discorso rivolto, domenica 17 maggio, ai fedeli in piazza San Pietro prima del Regina Cæli, nel quale ha collocato il pellegrinaggio, già di per sé paradigma dell’esistenza umana, all’interno del mistero dell’incarnazione e della storia di Abramo, esempio di fede per ebrei cristiani e musulmani.

La ripetuta insistenza sul dialogo interreligioso nei discorsi del Papa sembra esprimere un’intenzione profonda e presente più che mai nella mente di Benedetto XVI e tale da costituirsi come preminente e fondante dello stesso messaggio della pace. Il Papa, in altri termini, non vuole essere e apparire un diplomatico “super partes” che favorisce incontri e patti di carattere politico e neppure un semplice mediatore culturale, ma un credente che si pone accanto ad altri credenti scoprendo insieme ciò che unisce e che può essere sufficiente, senza ricorrere alla necessità di costruire una innaturale uniformità, per onorare Dio e servire efficacemente il bene dell’umanità.
Questo pellegrinaggio di una settimana, che si potrebbe definire tre volte santa per le tre religioni, avrà bisogno di essere ancora approfondito con l’analisi dei gesti e delle parole perché possa favorire ancora più efficacemente l’incontro e un cammino comune delle popolazioni di quella terra. Il Papa ha fatto 31 discorsi e ne ha sentiti altrettanti. Ha parlato molto ed ha ascoltato molto. Ha visto molte persone e fissato i volti di grandi e piccoli. Un viaggio che s’innesta nella storia, iniziata 45 anni fa dal Papa pioniere e teorico del dialogo, Paolo VI, volta a contenere e superare il ricordo dei secoli cattivi di incomprensioni e conflittualità tra cristiani, ebrei e musulmani. Quella storia della quale, purtroppo, ancora si sentono echi sinistri e che alcuni vorrebbero tenere forzatamente in vita.

Elio Bromuri

(19 maggio 2009)

Altri articoli in Dossier

Dossier

Informativa sulla Privacy