Con passi più sicuri

ANNO PAOLINO

“Paolo e le donne”. Questo il titolo di un ciclo di lezioni pubbliche promosso dalla cattedra “Donna e Cristianesimo” della Pontifica Facoltà teologica “Marianum”, in occasione dell’Anno Paolino. Si comincia venerdì prossimo, 13 marzo, con una lezione della teologa Elena Lea Bartolini su “La donna nella cultura coeva alle Lettere di Paolo”; a seguire la biblista Elena Bosetti terrà una lezione su “Nato da donna” (Gal 4,4); infine sarà la volta di Maria Luisa Rigato, della Pontificia Università Gregoriana, che terrà una lezione dal titolo “La donna deve avere sul capo un segno di autorità a motivo degli angeli” (1Cor 11,10). Il giorno seguente, sabato 14 marzo, interverrà la teologa Marinella Perroni (“…Non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”), seguita dalla pastora Erika Tomassone (“Le collaboratrici di Paolo in Romani 16,1-16”) e da Francesca di Marco (“Tecla: protagonismo apocrifo?). Ne abbiamo parlato con Cettina Militello, direttrice della cattedra “Donna e Cristianesimo”, costituita in fedeltà all’indirizzo di studi mariologici come “luogo di riflessione per le problematiche femminili” e che ha come oggetto lo studio della donna nelle culture cristiane e nella storia della Chiesa, con un’attenzione particolare ai problemi della donna di oggi.

Paolo e le donne: quale rapporto, contestualizzato nella “cultura” del suo tempo?
“Quello tra Paolo e le donne è un rapporto che può apparire conflittuale: nei suoi testi, ci sono passaggi favorevoli al coinvolgimento delle donne nell’azione missionaria e nel servizio alla comunità, ma anche passaggi o contesti discordanti, un po’ lontani dalle affermazione di partenza, che è quella per cui «non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero…». Certamente Paolo è l’espressione della sua cultura, dell’ebraismo ai tempi di Gesù, non particolarmente favorevole alla donna. I passaggi battesimali di Romani 16, e la riconduzione di uomo e donna ad unità, ad uguaglianza dei due, sono però molto forti, e contrastano rispetto a quello che affermava la cultura del tempo”.

Nella prima lettera ai Corinzi si parla di un “segno di autorità” femminile: come vedeva Paolo il protagonismo delle donne?
“In un altro dei luoghi classici paolini, Galati 4,1, Paolo parla del famoso «nato da donna», che apre il discorso su cosa significhi questa espressione: per la mentalità del tempo, era il massimo dell’umiliazione che il lògos prendesse corpo, e per di più da una donna. L’espressione «nato da donna» ha dunque una valenza mariologica, grazie alla quale Maria diventa il tramite dell’Incarnazione. Per quanto riguarda il passo citato della lettera ai Corinzi, in realtà quella che era la necessità di un «segno di autorità» al femminile, ventilato da Paolo, è stato letto da noi come «segno di subordinazione». Avere sul capo un segno, al di là della querelle successiva sul velo, è in Paolo un fatto costitutivo, più che un obbligo rituale: l’espressione «a motivo degli angeli» rende poi tutto ancora più intrigante…”.

Donne, dunque, “soggetto” a pieno titolo?
“Per Paolo le donne partecipano a pieno diritto all’assemblea liturgica e possono pure profetare: ciò che conta è la soggettualità, che costituisce l’accento nuovo della questione femminile. Il cristianesimo primitivo, in altre parole, ha provato a cambiare costume, ma purtroppo questa «rivoluzione» non si è compiuta. L’elemento importante è però che il cristianesimo ha lo stesso rito di iniziazione per uomini e donne, mentre nelle altre culture, che hanno forme di iniziazione più complesse, l’iniziazione religiosa maschile è separata da quella femminile. Per il cristiano l’aspetto peculiare è sempre il battesimo comune per uomini e donne e la partecipazione, sempre comune, all’Eucaristia: la comunità cristiana è un convergere insieme, non una segregazione delle donne, come avviene nelle sinagoghe o in altri culti”.

L’ottica paolina di fondo è quella dell'”unità dei due”…
“Certamente in Cristo, come si legge in Galati 3,28, vengono oltrepassate le discriminazioni legate alle contestualità storiche o etniche. Viene superata, inoltre, la contrapposizione tra uomo e donna, ma in modo che femminilità e mascolinità rimangano tali: ciò che ciascuno è, la peculiarità di ognuno, viene salvaguardata da un’unità che non annulla le differenze, ma che vede la differenza stessa come un fatto salvifico”.

Si è realizzata, nella Chiesa, questa “reciprocità”?
“Quella della piena collaborazione tra uomo e donna è una questione ancora aperta, nella quale ci si muove a piccoli passi. Il modello di Romani 16, in cui si testimonia una forte presenza femminile nelle comunità e nelle chiese domestiche, è ancora oggi molto lontano. Nel concreto, si è fatto tantissimo, ma non si è ancora raggiunta la piena integrazione, a livello ecclesiale, tra uomini e donne, laici e chierici. La via da percorrere resta quella di valorizzare le differenze e metterle in circolo, partendo dalla convinzione che la Chiesa non è questione di alcuni, ma questione di tutti”.

(11 marzo 2009)

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