Giorno dopo giorno

DOPO GMG

Come “portare” la Gmg in parrocchia? “Ci vuole più severità nell’educazione dei giovani”, risponde Luca Diotallevi, docente di sociologia della religione all’Università “Roma Tre”, che invita a coniugare “straordinarietà” e “ordinarietà” portando con sé, da Sydney, anche la voglia di “un duro tirocinio spirituale”, per allenarsi alla piena maturità nella fede. Abbiamo rivolto alcune domande al sociologo.

Dalla straordinarietà all’ordinarietà: quale incoraggiamento arriva dalle giornate australiane per la vita ordinaria delle parrocchie?
“In primo luogo, a mio avviso, la Gmg di Sydney ha dimostrato che non esiste un’incomunicabilità di principio tra i giovani e la Chiesa: se debitamente raggiunti, i giovani prestano ascolto alla Chiesa che parla, magari anche solo per un attimo. E tutto ciò non solo su scala locale, ma globale. Dall’altra parte, bisogna tenere presente sia il monito di Benedetto XVI, che mette in guardia da una religione che sia solo «emotività», sia quello di Giovanni Paolo II, quando esorta a fare attenzione al «trionfalismo»: in quanto esperienza straordinaria, la Gmg lascia un segno nell’intimità dei giovani che frequentano, e che hanno partecipato, che probabilmente riemergerà anche in altre occasioni. Tuttavia, di per sé l’evento, da solo, non è in grado di introdurre automaticamente ad una pratica matura e cosciente della fede. Di qui la necessità di un accompagnamento spirituale, liturgico e catechetico, che consideri la Gmg come punto di partenza di un percorso più lungo, verso una fede adulta”.

Uno dei “fili rossi” dei discorsi del Papa è stata la “questione educativa”: quali indicazioni trarne?
“I frequenti interventi del Santo Padre sull’emergenza educativa sono quanto mai opportuni, non solo per la Chiesa, ma anche per la società: attraverso di essi il Papa ci fa capire che la fede non si conquista in un attimo, perché richiede «un libero ossequio dell’intelletto e della volontà» che implica uno sforzo educativo non generico, ma serio, capace di aiutare i giovani a dire di «sì» e di «no», a scoprire la propria libertà del Vangelo. Una fede fatta solo di suggestioni non risponde all’istanza educativa: per questo ritengo che si debba continuare a guardare con grande serietà alla solida tradizione associativa della Chiesa, come risposta alla «sete di verità» dei giovani del nostro tempo”.

“Quale differenza farete”, anche rispetto ai giovani che verranno, ha chiesto il Papa al “popolo di Sydney”. La “missione tra coetanei” è un forte appello alla responsabilità dei giovani, ma anche uno stimolo a ridisegnare la presenza laicale adulta in parrocchia…
“Se andiamo indietro, troviamo nella Evangelii Nuntiandi di Paolo VI le ragioni di quella che, allora come oggi, definiamo «evangelizzazione da persona a persona». In larga parte, quest’ultima dipende dalla presenza di «maestri», ma anche di coetanei impegnati in un serio cammino di fede. Per questo è necessario un grande discernimento nelle esperienze in atto: alcune si pongono su questa scia, altre non ritengono affatto di inserirvisi. Ancora una volta, tornano alla mente le considerazioni di Giovanni Paolo II sui «grandi numeri», che sono «benedetti» per la Chiesa ma nello stesso tempo «insufficienti» per la formazione di coscienze cristiane realmente mature”.

L’invito di Benedetto XVI ai giovani a “non lasciare Dio in panchina” inquadra la “questione di Dio” sia a livello esistenziale, che a livello pubblico. Come tenerne conto nella pastorale, dopo la “svolta” del Convegno di Verona?
“Certamente oggi dobbiamo fare i conti con la difficoltà della coscienza cristiana a «conformare» il proprio spirito al Vangelo, sia a livello della propria coscienza privata, sia a livello della testimonianza pubblica. Anche questo è un compito di lungo periodo, che richiede mediazione, approfondimento, disciplina, capacità di ricerca che mal si concilia con eventi di tipo carismatico o con atteggiamenti superficiali. In una parola, oggi occorre più serietà nell’educazione dei giovani: una serietà non astratta, ma capace di leggere tutti i nostri comportamenti alla luce del Vangelo”.

Quali “piste” riscoprire?
“Non bisogna fare altro che guardare alla tradizione della Chiesa. In primo luogo alla messa: non la «messa per i giovani», ma la messa della comunità parrocchiale, con una significativa presenza di adulti con i quali i giovani possano confrontarsi. E poi, come spesso si dice, «su una mano la Bibbia e sull’altra il giornale»… Prima di tutto, però, deve esserci una severa formazione spirituale. Spesso ci illudiamo che, dopo generazioni e generazioni di cristiani formatisi attraverso il digiuno, l’astinenza, l’approfondimento spirituale, l’ascesi, tutti questi «mezzi» non servano più. In realtà, come ci ricorda il Papa, solo un duro tirocinio spirituale ci rende veramente liberi”.

(25 luglio 2008)

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