Compostezza e sobrietà

SCIENZA E VITA

“Dopo un lungo e sofferto cammino, che ha immolato sull’altare della ricerca tanti esseri umani in fase embrionale”, la scoperta di alcuni ricercatori statunitensi e giapponesi “che avrebbero riprogrammato cellule adulte, portandole ad uno stato di pluripotenza e non di totipotenza come le cellule embrionali, sembrerebbe un’autentica svolta”. È il giudizio espresso dall’associazione Scienza e vita sui risultati resi noti da due gruppi di ricerca, uno americano e l’altro nipponico, sulle cosiddette cellule iPS (cellule pluripotenti indotte). L’associazione invita, tuttavia, alla prudenza: “Saranno indispensabili adeguate sperimentazioni sull’animale per chiarire gli aspetti non ancora noti e la possibilità di un’efficace e sicura applicazione clinica”.

“Prima di creare false aspettative – prosegue Scienza e vita – è opportuno disporre di tutti gli elementi concreti per poter dare risposte adeguate. L’opinione pubblica è stata già manipolata a sufficienza. Basti ricordare l’inopinato entusiasmo riservato alle tecniche della clonazione e alla ricerca sulle cellule staminali embrionali che avrebbe dovuto dare risposta immediata a tutte le malattie degenerative”. Previsioni “regolarmente smentite”. L’auspicio, infine, che “la tappa odierna segni il ritorno alla compostezza e alla sobrietà e riporti al centro del dibattito la verità scientifica”. I due gruppi di scienziati che hanno annunciato di essere riusciti nell’impresa di “ringiovanire” cellule epiteliali umane, riprogrammandole, hanno lavorato in modo indipendente ed impiegato tecniche diverse, anticipando i loro lavori rispettivamente sull’edizione on line di “Science” e di “Cell”.

Una risorsa in più… “Se danno i risultati sperati, potranno essere una risorsa in più per non far ricorso alle cellule staminali embrionali”. Così Salvino Leone, docente di bioetica all’Università di Palermo, commenta l’annuncio di alcuni ricercatori giapponesi di aver “riprogrammato” determinate cellule staminali adulte fino a far loro raggiungere uno stadio simile a quello delle cellule staminali embrionali. In attesa di vedere pubblicati i dati scientifici della ricerca, per ora solo annunciata dai media, Leone ricorda che “è da tempo che si lavora per la riprogrammazione delle cellule adulte. Se è vero che si arriva a tali cellule, senza lo sviluppo di una linea embrionale vera e propria e con gli stessi effetti delle staminali adulte, si apre una prospettiva interessante, soprattutto perché eliminerebbe i dubbi sulla liceità o meno della sperimentazione sugli embrioni: se si può contare su staminali adulte riprogrammate, che senso ha insistere sul ricorso alle cellule staminali embrionali”. Quanto alla relazione tra l’annuncio nipponico e quello recente di Ian Wilmut, il “creatore” della pecora Dolly, di voler abbandonare ogni ricerca sulla clonazione di embrioni, Leone commenta: “Bisogna capire se si tratta di un’affermazione di carattere prettamente scientifico, ovviamente sempre benvenuta, o di carattere prettamente etico, che avrebbe molto più peso”.

Per risolvere i dilemmi etici. Secondo Adriano Pessina, direttore del Centro di bioetica dell’Università Cattolica, se confermate le nuove ricerche sulle staminali adulte potrebbero rivelarsi “un ottimo modo per risolvere i dilemmi etici sull’uso delle cellule staminali embrionali, abbandonando la ricerca su di essi, e rendere inutile la clonazione a scopo terapeutico”. “In linea – precisa il bioeticista – eliminare la ricerca improntata sulle cellule staminali embrionali dovrebbe essere considerato un bene anche soltanto per i motivi etici, e non semplicemente perché ci sono valide alternative scientifiche”. Discorso analogo per la clonazione terapeutica, da bandire in linea di principio “perché anche solo la dizione di clonazione a scopo terapeutico è impropria, in quanto comporta sempre la distruzione di embrioni”. Per Pessina rimane, comunque, da chiedersi “come mai è rimasto questo accanimento attorno alla vita embrionale”: “Se gli unici motivi di tale atteggiamento – spiega – erano di tipo scientifico e terapeutico, adesso questa strada dovrebbe essere definitivamente abbandonata. Se, invece, la preferenza per l’utilizzo delle cellule staminali embrionali deriva dal fatto che c’è una grande disponibilità di queste ultime grazie al materiale derivato dalla crioconservazione, e dalla maggiore facilità di utilizzo, allora la strada verso l’abbandono di tale filone di ricerca rischia di essere ancora lontana”.

Le premesse sono buone. Il direttore dell’Istituto di genetica medica dell’Università Cattolica di Roma Giovanni Neri osserva che “le premesse sono buone” ma che “per arrivare a risultati clinici ci vorrà del tempo”: tuttavia, aggiunge, “il fatto che due gruppi siano arrivati ad uno stesso risultato attraverso ricerche e tecniche indipendenti è un po’ la prova del nove”. “Mi fa piacere che ciò che prevedevo due anni e mezzo fa, ai tempi della campagna referendaria, si sia avverato”, è il commento del genetista Bruno Dallapiccola: “Già allora dicevo che il problema dell’uso delle staminali embrionali era tale che qualcuno nel frattempo avrebbe inventato un macchinario per ringiovanire le cellule adulte”. Non è mancata, infine, una reazione del ministro della Salute, Livia Turco: “Vanno potenziati i campi di ricerca sui quali c’è concordia”, ha dichiarato, esprimendo “apprezzamento” per “gli incentivi nella ricerca sulle staminali adulte”.

(23 novembre 2007)

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