Perché é inaccettabile

SCIENZA E VITA

Il 16 ottobre la Corte di Cassazione ha disposto un nuovo processo per il caso di Eluana Englaro, la giovane in coma da 15 anni per la quale il padre chiede la sospensione dell’alimentazione e idratazione artificiale. La Cassazione ha così accolto il ricorso presentato dal padre della ragazza contro una precedente sentenza della Corte d’Appello di Milano. La nuova pronuncia stabilisce che il giudice può autorizzare l’interruzione dell’alimentazione soltanto in caso di provata irreversibilità dello stato vegetativo del paziente e di certezza che tale richiesta rispecchi la volontà di quest’ultimo. La sentenza, emessa ad un mese di distanza da una Nota della Congregazione per la dottrina della fede che definisce “la somministrazione di cibo ed acqua, anche per vie artificiali”, un “mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita”, e ritiene la sospensione di questo trattamento configurabile come un atto eutanasico, fa discutere. Il SIR ha raccolto al riguardo il parere di Adriano Pessina e di Antonio Spagnolo, rispettivamente direttore e coordinatore del Centro di bioetica dell’Università Cattolica.

Il valore della persona. Teorizzare “l’abbandono assistenziale di una persona soltanto perché non ha più attività conoscitive, privandola dell’alimentazione e dell’idratazione”, è “una scelta moralmente inaccettabile quanto l’eutanasia e l’abbandono terapeutico” è il commento di Adriano Pessina. “La vita umana coincide con la persona stessa, e abbassare il livello di tutela della vita umana significa abbassare il livello di tutela delle persone, specie di quelle che maggiormente hanno bisogno della solidarietà sociale”, mentre “il presupposto di una democrazia seria è quello di riconoscere valore incondizionato a tutte le persone, al di là del loro stato di salute e di censo”. Nel caso specifico, precisa Pessina, “non si può parlare di accanimento terapeutico; la questione riguarda più il prendersi cura che il curare”. Quanto al principio di autodeterminazione richiamato dalla sentenza, “non esiste il diritto di morire perché la sfera dei diritti tutela valori di cui si può fruire, e la morte è un fatto e non un bene di cui disporre”.

Criteri opinabili. Di sentenza “arbitraria” che “si richiama a criteri opinabili” e, “ammettendo l’abbandono terapeutico, apre a derive eutanasiche”, parla Antonio Spagnolo, analizzando i due criteri indicati dalla Corte per ammettere la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale. Quanto al primo (la provata irreversibilità dello stato vegetativo del paziente, ndr) osserva Spagnolo, “mancano criteri e parametri universalmente riconosciuti per accertare con sicurezza tale condizione. Dal punto di vista delle indagini diagnostiche si può rilevare lo stato della coscienza cerebrale, ed affermare che se essa appare del tutto compromessa non vi sarà mai ripresa, ma da ciò non può conseguire il venire meno della persona, il cui valore e dignità permangono immutati”. In questa prospettiva, chiarisce “anche il paziente privo di coscienza mantiene a tutti gli effetti il diritto alla vita e quindi all’alimentazione”.

Vita, bene indisponibile. Il secondo criterio, relativo alla volontà del soggetto, richiede, spiega ancora Spagnolo, “di ricostruire questa volontà sulla base dei comportamenti e convincimenti del paziente, ma è una volontà poco attendibile perché non accertabile in modo oggettivo, e poco indicativa perché espressa in tempi precedenti alla malattia, condizione durante la quale molti soggetti mutano i propri orientamenti”. L’affermazione della Corte suprema secondo cui “il diritto all’autodeterminazione” del paziente è illimitato, anche se ha come conseguenza “il sacrificio del bene della vita” è, per il bioeticista, “riconducibile ad una visione molto riduttiva del significato dell’esistenza, e appare in contraddizione con il principio della vita stessa come bene indisponibile contenuto nella nostra Costituzione e richiamato nel Codice penale”. “Il bene della vita del singolo non è tuttavia un bene privato ma, piuttosto, un bene che appartiene alla società intera. Ogni qualvolta, poi, si afferma un presunto diritto alla morte – conclude Spagnolo – si innesca il corrispondente dovere, da parte di un altro, di dare realizzazione a quel diritto”.

Anticamera dell’eutanasia. Perplessità per la “palese strumentalizzazione di un caso umano per forzare la mano al legislatore” viene espressa dall’associazione Scienza & Vita. In realtà, osserva l’associazione, “si tira la volata al testamento biologico che proprio in questo caso si manifesta per quello che è: l’anticamera dell’eutanasia”. “Non esiste il diritto di morire, e neppure la facoltà di rifiutare le cure può essere intesa come capace di imporre agli altri un obbligo assoluto. I giudici più che un giudizio sulla libertà del malato, esprimono un giudizio sulla qualità della vita del paziente, il che contraddice l’affermazione del diritto alla vita uguale per tutti” commenta il Movimento per la Vita.

(19 ottobre 2007)

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