Con doverosa cautela

SCIENZA E VITA

Una tecnica che, “se confermata, potrebbe portare molti benefici per l’uomo”, ma in merito alla quale occorrono “controllo” e “responsabilità etica”, soprattutto “nella fase dell’applicazione dei risultati”. Antonio Spagnolo, membro del Comitato direttivo del Centro di bioetica del’Università Cattolica e ordinario di bioetica all’Università di Macerata, definisce in questi termini al SIR l’annuncio dello scienziato americano Craig Venter di aver riprodotto in laboratorio un cromosoma artificiale. Dai mass media, quello proveniente dagli Usa (ribattezzato e brevettato con il nome di Mycoplasma laboratorium) è stato generalmente salutato come un annuncio rivoluzionario, in particolare perché promette di “creare vita artificiale”.

“Fatte salve le “modalità un po’ discutibili” dell’annuncio dell’imprenditore e biologo (“annunci di questo tipo non dovrebbero essere fatti a mezzo stampa, ma in un congresso medico o su una rivista scientifica”, spiega), Spagnolo osserva che “quando nel giugno del 2000 lo stesso Venter ha annunciato l’avvenuto sequenziamento del genoma umano, ci si aspettava questo passaggio naturale: il sequenziamento comprendeva la successione delle molecole, partire da queste ultime per costruire qualcosa di nuovo era un risultato atteso”. In questo senso, spiega l’esperto, il cromosoma artificiale rappresenta “la costruzione di una unità che presenta un messaggio nuovo”. Un obiettivo, questo – puntualizza tuttavia Spagnolo – molto lontano da quella che i media hanno definito vita artificiale, quasi che si potesse fare a meno della creazione divina”.

“Controllo” e “responsabilità”. Il cromosoma artificiale assemblato da Venter, sintetizza dunque Spagnolo, è “un’unità elementare di informazioni genetiche, che all’interno di una cellula semplice può orientare la cellula a produrre sostanze o a muoversi in un certo modo”. Tra gli “aspetti positivi” di tale scoperta, Spagnolo elenca “la possibilità di produrre farmaci o sostanze utili all’uomo”, o addirittura – per alcuni – di “arrivare a riprodurre cellule staminali senza passare attraverso l’embrione”. C’è però da aspettare la fase del “controllo”, ammonisce l’esperto, che comporta anche la “responsabilità etica” del ricercatore di “evitare conseguenze negative: i microrganismi sono infatti armi biologicamente molto potenti, che possono anche arrivare a modificare l’ecosistema”.

“La preoccupazione etica diventa concreta soprattutto quando si applicano i risultati – dichiara Spagnolo soffermandosi sulla necessità di “fare in modo che si minimizzino i rischi” – ma c’è un’altra preoccupazione etica precedente: il ricercatore non può, proprio per l’enorme responsabilità che comportano le sue scoperte, non tener conto che i suoi risultati potrebbero sfuggirgli di mano. È facile che qualcuno si impossessi dei dati e li utilizzi in modo improprio, per altri fini o per una gestione non equa dei risultati”. Nel caso del Dna, vista la non brevettabilità del patrimonio genetico sancita dall’Unesco, “i risultati ottenuti devono essere condivisibili all’interno dell’intera società umana, evitando che si creino monopoli o disuguaglianze tra Paesi ricchi e Paesi poveri”.

Vita artificiale? Un invito alla “prudenza” e alla “calma”, a partire dalla consapevolezza che “c’è una discrepanza sempre crescente tra i tempi lunghi della bioetica e le accelerazioni – spesso presunte – della scienza”. A rivolgerlo tramite il SIR è Salvino Leone , docente di bioetica all’Università di Palermo, a proposito della “scoperta” del cromosoma artificiale. Quello che viene dagli Usa, secondo l’esperto, è un annuncio “da seguire con cauto interesse, cercando di capire cosa è realmente stato fatto, prima di emettere giudizi totalmente negativi o eccessivamente positivi”. “Ciò che sembra certo – afferma Leone – è che siano state assemblate varie sostanze per dare origine a questo cromosoma. Ora si tratta di capire se si tratta solo di un pezzo artificiale, non molto diverso in questo caso da un cuore o un rene artificiale, o se se tutto l’assetto genetico sia artificiale, al fine di produrre vita in laboratorio. Un’operazione, quest’ultima, non ammissibile e non accettabile”

“Se creiamo qualcosa di artificiale, sia pure in un ambito così delicato, ciò può avere un suo interesse – commenta Leone – ma dobbiamo stare attenti a far sì che il fine non sia la possibilità di produrre vita artificiale”. In termini “futuribili”, argomenta infatti Leone, “anche quando si riuscisse a creare vita in laboratorio, ci sarebbe sempre una componente spirituale ineliminabile, che prescinde dalle dimensioni scientifiche della vita stessa”. Il verbo “creare”, in ultima analisi, “inteso come creazione dal nulla si può attribuire solo a Dio: l’uomo non crea niente, assembla cose già esistenti, mette insieme, produce, struttura, come nel caso in questione”. Per questo “occorre lasciare il dibattito aperto” su casi come l’annuncio di Venter, suggerisce Leone, rifuggendo da “quel consumismo anche mentale che vuole avere subito una risposta, dimenticando che i tempi lenti dell’etica non vanno di pari passo con quelli della scienza”.

(09 ottobre 2007)

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