Il diritto e l’etica

SCIENZA E VITA

Una sentenza “ambigua e contraddittoria”, che “aumenta i dubbi” sulla reale efficacia del testamento biologico e può rappresentare l’ennesimo “cavallo di Troia” per l’introduzione dell’eutanasia in Italia. Antonio Spagnolo, coordinatore del Centro di bioetica dell’Università Cattolica di Roma, commenta in questi termini al SIR la decisione del Gup di Roma, Zaira Secchi, che ha prosciolto l’anestesista Mario Riccio dall’accusa di “omicidio del consenziente”, per aver interrotto la ventilazione meccanica che teneva in vita Piergiorgio Welby.

In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, Spagnolo sottolinea l’importanza di “capire ciò che è stato fatto: se si è trattato di interrompere un accanimento terapeutico o, al contrario, di un atto che ha causato l’anticipazione della morte del paziente, cioè di eutanasia”. Un quesito, questo, a cui “è impossibile rispondere dall’esterno”, ma che al contrario “trova significato solo all’interno della relazione tra medico e paziente”: una relazione, quest’ultima, “molto complessa e diversificata, che non può essere risolta in poche righe di una normativa giuridica o in qualche vaga indicazione procedurale”. Intanto, è morto anche Giovanni Nuvoli, malato da anni da sclerosi laterale amiotrofica che “si è lasciato morire”, come ha dichiarato la moglie, Maddalena Soro, riprendendo negli ultimi giorni lo sciopero della fame e della sete.

Verso l’eutanasia? Sul piano giuridico, per Spagnolo, sentenze come queste “non trovano un sostegno univoco”, perché “dare esecuzione alla volontà del paziente” è positivo, a meno che “il dare esecuzione alla volontà del paziente configuri un reato ben preciso del nostro ordinamento”, come nel caso dell'”omicidio del consenziente” o dell'”istigazione o aiuto al suicidio”, configurati come reati dal nostro Codice penale. Significativo, per Spagnolo, anche il fatto che nelle dichiarazioni a caldo sia Mina Welby (moglie di Piergiorgio, ndr ), sia Mario Riccio, nel salutare con favore la sentenza di oggi, abbiano auspicato che essa serva “da riferimento” per il dibattito sul testamento biologico. “Tradurre quello che il Gup ha detto in un documento – commenta Spagnolo – aprirebbe ulteriori dubbi sulle cosiddette linee anticipate di trattamento, sulle quali Paesi dove sono state introdotte, come gli Usa ed alcuni Paesi nordeuropei, hanno già messo in atto un ripensamento”. Il vero scopo del testamento biologico, ribadisce Spagnolo, “è di spingere il nostro Paese ad andare verso l’eutanasia”.

Diritti o desideri? Una sentenza che “può mettere la parola fine a una vicenda giudiziaria, ma apre di nuovo la più complessa ed estesa questione delle relazioni tra medico e paziente e della reciprocità di diritti e doveri personali”. È il commento di Adriano Pessina, direttore del Centro di bioetica dell’Università Cattolica, al proscioglimento di Mario Riccio sul “caso Welby”. “Esiste una questione etica e antropologica che è più estesa della questione giuridica”, ammonisce Pessina, per cui il caso Welby “non è facilmente riconducibile alla questione strettamente giuridica del diritto del paziente di rifiutare i trattamenti e al riconoscimento del valore dell’autodeterminazione del paziente stesso, ma mette in gioco il significato e il valore della relazione medico-paziente”. A livello internazionale ed europeo, è in atto “una spinta che tende ad ottenere certi diritti, sui quali il diritto in senso stretto si limita poi a legiferare, codificandoli”. Giulia Paola Di Nicola , condirettrice della rivista “Prospettiva persona”, inserisce in questo quadro il proscioglimento di Mario Riccio. “Oggi – commenta al SIR – è tutta una rivendicazione di Carte dei diritti. Il problema, però, è che si scambiano per diritti i desideri: ogni desiderio, cioè, diventa diritto”.

Il caso Nuvoli. Commentando le morti di Welby e Nuvoli Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita, afferma: “Da un punto di vista giuridico l’unico dato veramente certo è che la vita umana è un bene non disponibile. Di conseguenza dubito molto che si possa parlare di un diritto umano a rifiutare le cure. Esiste invece un diritto alla cura che è garantito dall’art. 32 della Costituzione. Analogamente dubito che si possa parlare di un dovere di sospendere le cure al di fuori dell’accanimento terapeutico. Esiste solo il dovere di non usare prepotenze di nessun tipo nei confronti del malato, che è cosa diversa dal dovere di non curare”. Sempre più spesso, quando si trattano le questioni legate alla fine della vita, “si cavalca l’ondata emotiva”, ma “nessuno parla dell’accompagnamento adeguato del malato terminale”, attraverso la terapia del dolore e le cure palliative. È il commento di Salvino Leone, dell’Istituto di bioetica dell’Università di Palermo, al caso Nuvoli. “Il problema – aggiunge – è quale tipologia di assistenza siamo in grado di garantire ai malati in fasi terminali”. “Rendere accettabile e dignitosa la fase finale della vita – conclude Leone – è un dovere umano, e cristiano in particolare. Applicando adeguatamente la terapia del dolore e le cure palliative gran parte delle richieste di eutanasia verrebbero meno”.

(25 luglio 2007)

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