Una regola “laica”

SCIENZA E VITA

“Laicità e democrazia sono a rischio di estinzione quando si fa pressione per modificare le linee-guida applicative della legge in modo che possano servire come grimaldello per scardinare la legge stessa”. A lanciare il grido d’allarme è stata Maria Luisa Di Pietro, co-presidente (con Bruno Dallapiccola) dell’Associazione “Scienza e Vita”, durante la conferenza stampa svoltasi il 17 luglio a commento dei dati del ministero della Salute sull’applicazione della legge 40/2004, e alla vigilia della revisione delle “linee-guida” della stessa legge. Nelle “azioni illegali” poste in atto nel tentativo di portare a una revisione della legge, per Di Pietro rientrano tutte quelle che vogliono “far dire alla legge quello che la legge non dice”.

Senza contare la mancanza di informazioni su cosa si fa per la “prevenzione primaria della sterilità”, che “sta diventando una vera e propria emergenza anche per il nostro Paese”, oppure “sui danni da fecondazione artificiale e sul fatto che la tanto richiesta diagnosi preimpianto causa tali danni all’embrione da ridurne di un terzo le nascite”. Dopo circa 60 giorni dal Family Day – denuncia inoltre Scienza e Vita – anche il milione e mezzo di persone di piazza S.Giovanni rischia di “passare inosservato”, così come quel 71,4% di italiani che, nel referendum del 2005, “si è astenuto in modo attivo e consapevole, facendo così fallire il referendum abrogativo”.

“In gioco laicità e democrazia”. La legge 40/2004, ha ricordato Di Pietro, è stata emanata il 19 febbraio 2004 “dopo 7 anni di intenso e faticoso dibattito parlamentare e 2 legislature, in risposta a una situazione di grande disordine”, dove vigeva la regola che “se nulla è proibito, tutto è permesso”. Per Scienza e Vita, si è trattato di “una risposta che si colloca sul terreno civile e della tutela dei diritti umani e che ha avuto come principi ispiratori la tutela della donna e la tutela del concepito”. La legge 40, ha ribadito Di Pietro, “non è una legge cattolica e non ha nulla a che fare con l’insegnamento del magistero della Chiesa cattolica in materia di fecondazione artificiale”, che non prevede ad esempio “la possibilità stessa di fecondare embrioni in vitro, la loro inevitabile perdita, l’accesso alle tecniche anche alle coppie di fatto, l’incertezza in cui viene lasciato il destino di migliaia di embrioni crioconservati”. Tuttavia, per l’associazione la legge 40 “è una scelta di coerenza, perché ha portato a mettere in atto una regola per tutelare anche il concepito”. Di qui l’appoggio del mondo cattolico ad una legge “laica”, in quanto fondata “sul principio di uguale dignità di ogni essere umano” che sta alla base di ogni “pluralismo”.

Tentazione da respingere. “Le linee-guida previste dall’art.7 sono “un provvedimento amministrativo che non può in alcun modo modificare un testo normativo approvato dal Parlamento”. Lo ha detto Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita, stigmatizzando qualunque “tentativo di forzare la legge 40”. “Contrariamente alle tesi presentate dal ministro della Salute nella sua relazione – ha notato Casini – la legge 40 ha funzionato bene, sia nello scopo di evitare distruzioni dirette e premeditate di embrioni, sia in quello di contribuire a superare le cause della sterilità”. Secondo il presidente del Movimento per la vita, “è assolutamente falso che la legge abbia ridotto la percentuale delle gravidanze”, collegata invece al “mutamento della tipologia delle pazienti”: quelle superiori ai 35 anni, infatti, sono aumentate del 4,3%. Il fatto, infine, di utilizzare il termine “otide” (che indica l’embrione nei primissimi giorni di vita, ndr ) non è altro, per Casini, che un “escamotage verbale privo di qualsiasi consistenza scientifica che ha il solo scopo di consentire interventi distruttivi che la legge invece non consente sull’embrione”.

Combattere la sterilità. “Più che inseguire il discorso delle tecniche, ci si dovrebbe porre il problema della fattibilità di politiche familiari e sanitarie che rappresentino una vera e propria prevenzione della sterilità, diventata ormai un’emergenza anche nel nostro Paese”. Ne è convinto Lucio Romano, dell’Università di Napoli, soffermandosi sulla “inadeguatezza” dei dati forniti dai Centri specializzati in Italia, per la prima volta oggetto della Relazione ministeriale sullo stato di attuazione della legge 40/2004. “I dati pubblicati – ha rilevato l’esperto – non consentono una dettagliata valutazione circa la sicurezza e l’efficacia delle tecniche utilizzate”: dei 330 Centri iscritti nel registro nazionale, infatti, il 37,5% non ha fornito informazioni sulle gravidanze ottenute e sul loro esito. Per quanto riguarda la diagnosi preimpianto, “è ormai dimostrato – ha concluso Romano – che non fa aumentare, ma riduce il numero di gravidanze dopo il 36° anno di età”. Per Lucetta Scaraffia, vicepresidente di Scienza e Vita, “sarebbe opportuno invece fare delle verifiche sugli esiti medici e psicologici a lunga scadenza della fecondazione assistita nelle persone che ne sono frutto e nelle società in cui viene utilizzata senza troppi limiti legislativi”.

(17 luglio 2007)

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