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RASSEGNA STAMPA

“Nel giorno dell’apostolo Andrea, incurante delle minacce arrivate, papa Ratzinger è lì vicino al patriarca ecumenico e con lui invoca la piena comunione tra le Chiese sorelle di Roma e di Costantinopoli” . Così Marco Roncalli su AVVENIRE (1/12). Dopo aver analizzato la portata della Dichiarazione congiunta, “con le attese della vigilia rispettate, anzi sopravanzate dal calore e dalla simpatia reciproca” , l’autore nota che “se resta da sciogliere il nodo del ministero petrino, il riconoscimento di quel primato che divide Roma da Costantinopoli (e da Mosca), la dichiarazione riprende poi l’ansia per la crescita della secolarizzazione, del relativismo e perfino del nichilismo che esige un rinnovato e potente annuncio del Vangelo”.

Sul CORRIERE DELLA SERA (1/12), Vittorio Messori sottolinea, a proposito del cammino di riavvicinamento tra Chiesa cattolica e ortodossa, che “già da Prefetto della fede, Joseph Ratzinger era ben consapevole delle difficoltà e parlava di una diversità riconciliata, proponendo ogni possibile autonomia alle Chiese greco-slave nella liturgia, nelle tradizioni, nella organizzazione interna, scelta dei vescovi compresa” . Secondo Messori, inoltre, “più volte, Benedetto XVI ha fatto capire che la sua strategia, più che dottrinale, vorrebbe essere pragmatica. Per dirla con don Bux: L’esempio, la forza trainante dell’esempio che parta da Costantinopoli, il cui prestigio malgrado tutto rimane, potrebbe portarle tutte, una dopo l’altra, a riconoscere che fu volontà di Cristo stesso concedere al vescovo di Roma il primato nel servizio e nell’amore. In questo senso, l’abbraccio di questi giorni al Fanar non è stato forse storico, ma, certamente, non del tutto inutile”.

“L’improvviso revirement di Ratzinger, che sulle sponde del Bosforo si scopre ad incoraggiare la Turchia a riformarsi per entrare nell’Europa – scrive LA REPUBBLICA (1/12) nell’editoriale senza firma ” La forza della storia” – e a sorpresa si ferma a pregare non nell’antica basilica cristiana di Santa Sofia, ma sotto le volte di una moschea, dimostra la forza di un’antica verità cattolica… Joseph Ratzinger, cogliendo tutti di sorpresa, è andato più in là. Ha accolto l’invito alla preghiera rivoltogli pubblicamente dal gran muftì di Istanbul e ha mormorato la sua orazione proprio nel punto sacro verso cui guarda ogni musulmano, quando invoca Dio Clemente e Misericordioso. È la forza della storia che lo ha portato a varcare questa soglia” . Questa preghiera – conclude l’editoriale – “nulla toglie al suo impegno per la libertà di religione, il rispetto della persona, il ripudio della violenza, la denuncia dei terroristi che manipolano in nome di dio. Anzi, nel dialogo, lo rafforza”.

La stessa notazione appare nell’editoriale di Franco Garelli su LA STAMPA (1/12). “Quasi nessuno si sarebbe aspettato un gesto innovativo e dirompente come quello che Benedetto XVI ha compiuto ieri pomeriggio nella visita alla Moschea Blu di Istanbul, quando ad un certo punto si è raccolto in silenzio e in preghiera davanti alla nicchia che indica la Mecca”, scrive il commentatore. “Invece si è verificato il grande evento, l’apertura inattesa, il gesto che è diventato dunque la vera icona di questo singolare viaggio pontificio in terra islamica”. Secondo Garelli, “il gesto eclatante di ieri rischia di far passare in secondo piano il significato ecumenico del viaggio, anche se di fatto non è così” . La conclusione è la seguente: “La libertà religiosa non è solo un auspicio o un diritto astratto, ma anche uno spazio conquistabile concretamente attraverso dei gesti profetici. Come sovente accade, i segni sono più importanti dei discorsi, creano realtà, suscitano condizioni di libertà”.

Su IL MESSAGGERO (1/12) viene sottolineato che la giornata di ieri è importante perché “il patriarca di Costantinopoli e il vescovo di Roma non solo hanno pregato insieme ma si sono detti cose che forse rimarranno segrete, ma che comunque segnano un momento verso la desiderata rappacificazione tra le due confessioni separate fin dal 1054 e un nuovo passo avanti da quel 1967, quando Paolo VI e Atenagora, con un gesto fondamentale, ritirarono le reciproche scomuniche, che appunto nel 1054, papa Leone IX e il patriarca Michele Cerulario si erano lanciate contro” . L’editoriale afferma anche che, dal punto di vista politico, il viaggio è “un successo anche per la Turchia che ha saputo gestire al meglio la delicatissima visita pontificia” e quanto al cammino per entrare in Europa aggiunge che “il Papa ha assicurato un appoggio, teorico ma importante”.

(01 dicembre 2006)

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