Le ragioni della ragione

DOPO VERONA

Il significato profondo del discorso tenuto da Benedetto XVI lo scorso 19 ottobre all’assemblea della Chiesa italiana a Verona, può essere colto appieno solo se lo si colloca nel contesto dell’intero magistero di Benedetto XVI, e in particolare nella luce dell’enciclica “Deus caritas est”. L’ enciclica ha mostrato che la fonte della “carità” è Dio, ed essa obbliga i credenti a darne testimonianza ovvero viverla concretamente, per “vivificare” il mondo secondo il progetto d’amore di Dio. Il discorso di Verona indica due forme fondamentali e privilegiate in cui, nell’odierno contesto culturale e politico, la carità, che non è un’idea, ma “l’incontro con la Persona di Gesù Cristo, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (n.1), deve potersi tradurre, e che potrebbero essere indicate come: carità intellettuale e carità politica. Carità intellettuale, innanzitutto. Perché non solo l’Italia, ma l’Europa sembrano attraversate da “una nuova ondata di illuminismo e di laicismo”, secondo cui è vero solo ciò che è sperimentabile ed è etico solo ciò che è frutto di una libertà incondizionata. Ora, contrariamente a quanto hanno affermato molti commentatori, Benedetto XVI non critica affatto l’Illuminismo perché esso farebbe uso dei lumi della ragione, ma proprio perché la moderna forma di Illuminismo – che ha peraltro radici nel “secolo dei lumi” – non usa rettamente e compiutamente della ragione, anzi riduce la ragione ad essere uno strumento senza finalità, senza etica e senza verità. Come hanno magistralmente mostrato Max Horkheimer e Theodor Adorno ne ” La dialettica dell’Illuminismo”, “sotto i gelidi lumi della ragione, nasce la messe di una nuova barbarie”, perché “la società assume la forma di un rapporto tra cose [per cui] anziché averne il dominio, l’uomo ne è dominato”.

Non si tratta, anche per i due studiosi, di criticare la ragione, ma piuttosto l’uso strumentale e distorto che della ragione ha fatto l’Illuminismo, perché “la ragione è sempre esistita, ma non sempre in forma ragionevole”; e di fronte alla rinuncia da parte del moderno Illuminismo ad una ragione compiuta, capace di superare il suo uso puramente strumentale e generatore di barbarie, e di aprirsi al mondo dei fini e della verità, e per questo anche capace di ritrovare, come è scritto ne La nostalgia del totalmente Altro , il suo ultimo orizzonte nell’apertura a Dio, Horkheimer giunge a scrivere che “il nuovo ordine fascista è la ragione, nella quale la ragione si disvela come non ragione”. Il logos a cui fa appello Benedetto XVI è, quindi, quello di una ragione che sia autenticamente ragione, ovvero che torni ad essere una ragione capace di realizzare compiutamente la propria natura e le finalità veritative ed etiche cui è ordinata, divenendo nuovamente capace di aprire l’uomo a quel “regno dei fini” e del senso ultimo dell’esistenza senza il quale la vita stessa è smarrita in un relativismo che ne soffoca le più intime aspirazioni e rinchiude non solo la ragione ma anche il cuore negli angusti limiti di un cielo senza stelle. Scriveva Adorno che “la filosofia […] è il tentativo di considerare le cose quali si presenterebbero dal punto di vista della redenzione” ( Minima moralia ); e se il pensatore ebreo, dopo aver percorso dolorosamente le strade della modernità, è in attesa di una “redenzione”, anche della ragione, Benedetto XVI indica il Redentore risorto come risposta vivente a tutti gli interrogativi della mente e del cuore di ogni uomo. Peraltro, la condanna del vero illuminismo e dell’autentica ragione è così lontana dal pensiero di Benedetto XVI, che egli è giunto a scrivere, nella ormai celebre Lezione magistrale tenuta all’Università di Regensburg, che già con la nuova conoscenza di Dio inaugurata dai profeti biblici nei confronti degli dei delle religioni orientali e dei miti, “va di pari passo una specie di illuminismo, che si esprime in modo drastico nella derisione delle divinità che sarebbero soltanto opera delle mani dell’uomo (cfr Sal 115)”; e che nella storia della Rivelazione cristiana, proprio a motivo della scelta a favore del logos che essa opera e non del mito, si è realizzata una sempre più stretta alleanza “tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione”, per cui possiamo dire non solo che il grande pensiero filosofico greco è “fuso ormai con la fede” – e questo contro i teorici della “deellenizzazione” del cristianesimo – ma che “non agire con il logos è contrario alla natura di Dio”, e che la violenza, ogni violenza, non può mai essere considerata un comportamento né cristiano né religioso. L’alleanza tra fede cristiana e logos ha generato, nella storia della Chiesa, l’antidoto nei confronti della sempre possibile tentazione di trasformare la fede in fondamentalismo religioso, intollerante e violento.
Il logos, l’autentica ragione, è il principale alleato della fede, perché ancora oggi, come nel passato greco, biblico, e cristiano, aiuta l’uomo a liberarsi dai miti che lo illudono senza verità. Come il mito di Icaro, citato dal Pontefice il 21 ottobre nella nuova Aula Magna dell’Università Lateranense, e che è l’eterno mito dell’uomo che crede di volare fino al sole affidandosi unicamente alle proprie forze – la scienza, la tecnica, l’uso strumentale e agnostico della ragione, la libertà senza finalità e senza verità – e non si accorge che le sue ali sono di cera, destinate a sciogliersi e a farlo precipitare. Il logos dell’autentico Illuminismo, sostenuto da Benedetto XVI, è allora quello di un amoroso richiamo all’uomo contemporaneo e alla sua cultura affinché recuperino una ragione autentica, che permetta di realizzarsi nell’orizzonte di una piena umanità, una ragione non “debole” quindi ma “forte”, perché aperta al riconoscimento di Dio come fondamento ultimo dell’essere della natura e dell’uomo, una ragione capace altresì di penetrare con intelligenza nelle verità che lo stesso amore di Dio ha voluto rivelare per il bene di tutta l’umanità.
Per questo, come in passato la Rivelazione cristiana, di fronte alla crisi culturale del mondo antico, non ha rifiutato l’apporto prezioso del pensiero greco pagano, analogamente oggi la Chiesa non può rifiutare il contributo di quanti, pur non riconoscendosi nella sua fede e nella sua prassi sacramentale, tuttavia vedono “con crescente chiarezza l’insufficienza di una razionalità chiusa in se stessa e di un’etica troppo individualista” e avvertono in concreto “la gravità del rischio di staccarsi dalle radici cristiane della nostra civiltà”.”Questa sensazione – ha detto Benedetto XVI – che è diffusa nel popolo italiano, viene formulata espressamente e con forza da parte di molti e importanti uomini di cultura, anche tra coloro che non condividono o almeno non praticano la nostra fede. La Chiesa e i cattolici italiani sono dunque chiamati a cogliere questa grande opportunità, e anzitutto ad esserne consapevoli. Il nostro atteggiamento non dovrà mai essere, pertanto, quello di un rinunciatario ripiegamento su noi stessi: occorre invece mantenere vivo e se possibile incrementare il nostro dinamismo, occorre aprirsi con fiducia a nuovi rapporti, non trascurare alcuna delle energie che possono contribuire alla crescita culturale e morale dell’Italia”. E infine la carità politica. Perché anche l’azione politica dei credenti, se vuole essere vera testimonianza della carità di Dio, alla luce della verità dell’uomo, deve sottrarsi dalla tentazione di essere unicamente arte del compromesso e del potere fine a se stesso, e tornare ad essere servizio dell’uomo in una incessante tensione ai veri valori dell’uomo, come persona, come famiglia, come comunità. Deve tornare, cioè, a essere una politica non scissa dall’etica, secondo la lezione purtroppo vincente del Segretario fiorentino, ma una politica capace di sostenere non una falsa “libertà totale”, come quella cui sembra ispirarsi l’odierno relativismo, ma una vera “libertà morale”, fecondata dalla verità, dalla giustizia e dalla carità.

Gaspare Mura

(23 ottobre 2006)

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