La parrocchia vive la domenica. Convegno nazionale a Lecce

Reinterpretare l'”unità” tra “annuncio, celebrazione e testimonianza” all’interno della “vita concreta” delle nostre comunità parrocchiali, a partire dal momento “costituivo” della liturgia domenicale, vista non come semplice “obbligo” o precetto ma come “culmine e fonte della propria identità di cristiani”. Don WALTHER RUSPI, direttore dell’Ufficio catechistico della Cei, illustra in questi termini al Sir l’obiettivo di fondo del Convegno unitario dei responsabili diocesani degli Uffici catechistici, liturgici e Caritas, in programma a Lecce, dal 14 al 17 giugno, sul tema “La parrocchia vive la domenica”. L’importante appuntamento ecclesiale, al quale parteciperanno circa 800 persone, ricorre 12 anni dopo il primo Convegno unitario degli organismi ecclesiali citati, svoltosi ad Assisi, dal 22 al 26 giugno 1992, sul tema “Annunciare, celebrare e testimoniare il Vangelo della carità in una pastorale organica”. Tra i relatori del convegno di Lecce, mons. Benigno Papa, vicepresidente della Cei, don Gianni Colzani, dell’Università Urbaniana, e mons. Crispino Valenziano, del Pontificio Istituto Sant’Anselmo. Interverrà anche il segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Betori. Dalla “pastorale organica” alla “pastorale integrata”: si può sintetizzare così, don Ruspi, il cammino da Assisi a Lecce? “Credo che questi due appuntamenti ecclesiali siano legati dalla continuità ma anche dalla novità. Da una parte, infatti, si intende riprendere e fare memoria del primo convegno unitario, partendo dall’unità tra annuncio, celebrazione e testimonianza centrale negli Orientamenti pastorali per gli anni ’90. Se, però, 12 anni fa l’accento veniva messo sul ‘Vangelo della carità’ come espressione della ‘Chiesa-comunione’, oggi il ‘Vangelo della carità’ resta centrale ma con una forte istanza sulla necessità dell”annuncio’ di tale Vangelo. Nell’ottica della ‘conversione pastorale’, parola-chiave del Convegno di Palermo e degli Orientamenti pastorali della Cei per questo decennio, il soggetto dell’annuncio è la comunità parrocchiale, che lega il cammino della Chiesa italiana a quella ‘missionarietà’ che si esprime anche attraverso l’unità tra catechesi, liturgia e azione caritativa. La novità di Lecce, tuttavia, non consiste tanto nel ricercare ‘collegamenti’ tra gli Uffici diocesani, già in atto da tempo, quanto nell’esprimere tale unità nella vita concreta della comunità parrocchiale, a partire dalla centralità della domenica”. Non c’è il rischio di trasformare anche la messa in un momento “formale” o di “routine”? “Il rischio c’è, e proprio per questo uno degli intenti di fondo del convegno è di non limitarsi a vivere la domenica come un’abitudine, o come momento semplicemente ‘rituale’, ma come una giornata ‘diversa’: uno spazio di incontro, di relazione, di libertà dalla ‘routine’ grazie alla scoperta che la propria originalità cristiana deriva proprio dalla persona di Cristo Risorto. Riscoprire la propria identità a partire dall’Eucaristia: è questo il frutto più bello del giorno del Signore, che poi deve tradursi per ciascuno di noi in un ‘modo di essere’ nella realtà ordinaria, nella comunità, nel territorio, nel mondo. La specificità del cristiano non è tanto quella di chiedersi ‘cosa dobbiamo fare’ nelle opere, ma come scoprire la nostra originale vocazione per essere segno del Risorto nella storia”. Che legame c’è tra parrocchia, Eucaristia ed annuncio? “Altri due imminenti ‘traguardi’ ecclesiali cui il convegno di Lecce si collega sono il Congresso eucaristico nazionale (Bari 2005) e il convegno ecclesiale di metà decennio (Verona 2006). In questa prospettiva, tradurre la centralità del momento eucaristico nella vita concreta delle nostre parrocchie vuol dire innanzitutto vivere il giorno del Signore non tanto come preoccupazione a una ‘obbedienza’ di precetto, quanto piuttosto riscoprire il valore della messa come espressione che ‘crea’ l’esistenza cristiana. Senza la domenica non possiamo dirci cristiani: la messa è in qualche modo il nostro ‘motore’ interiore, il fulcro delle attività parrocchiali e del legame tra catechesi e annuncio, in una comunità parrocchiale ‘letta’ non solo come comunità chiamata a ‘stare insieme’, ma ad ‘andare in missione’. Senza rinchiudersi in un recinto consolatorio, ma divenendo capace di accoglienza e reagendo alla ‘fatica’ e alla tentazione della sfiducia grazie a una capacità di ‘lettura’ dei cambiamenti culturali profondi che ci circondano”. Quali “priorità” indicherebbe? “Un capitolo importante è quello dell’iniziazione cristiana, attraverso la quale le parrocchie possono riscoprire il loro ruolo ‘generativo’ alla fede, la loro ‘maternità’ spirituale, anche riflettendo sulle fatiche e sui fallimenti. Non, però, in un’ottica di ripiegamento su se stesse, bensì partendo dalla propria capacità di ‘rimodulare’ in parrocchia nuovi percorsi di ‘educazione alla fede’, attenti alla diverse situazioni di vita di tutti coloro che incrociano le nostre comunità. Senza pretendere di aver trovato ‘ricette miracolose’, ma cercando di spendere tutte le proprie energie per ‘dare il meglio’, nel rispetto delle scelte libere della persona: gli eventuali allontanamenti dalla fede, in quest’ottica, non sono direttamente applicabili a una ‘cattiva azione educatrice’ della comunità, ma rientrano nel ‘gioco della libertà'”.

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