La rete: un “like” alla comunità, un “amen” di fronte al Signore

I referenti regionali per le Comunicazioni sociali si sono dati appuntamento oggi a Roma per un incontro, promosso dall’Ufficio nazionale guidato da don Ivan Maffeis, per riflettere e approfondire insieme il Messaggio di Papa Francesco per la 53ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (2 giugno). È emersa la volontà di lavorare per una Chiesa che dev’essere sempre più una comunità pensata per far pensare, anche attraverso la comunicazione

foto SIR/Marco Calvarese

Nell’era dei social network e degli smartphone che ci fanno essere perennemente connessi e a conoscenza in tempo reale di ciò che succede nel mondo,

“non è la community che è in crisi, ma il senso di comunità”.

Ne è convinto Giuseppe Tognon, professore di Storia dell’educazione alla Lumsa di Roma e presidente della Fondazione trentina Alcide De Gasperi, che così si è espresso nel corso di un incontro svoltosi quest’oggi a Roma per iniziativa dell’Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali.

Al tavolo, per riflettere sul messaggio di Papa Francesco per la 53ª Giornata mondiale per le comunicazioni sociali sul tema “Siamo membra gli uni degli altri (Ef 4,25). Dalle social network communities alla comunità umana”, gli incaricati degli Uffici per le comunicazioni sociali delle Conferenze episcopali regionali e responsabili e collaboratori dell’Ufficio nazionale guidato da don Ivan Maffeis.

Per Tognon, il messaggio sembra essere “un grido di dolore del Santo Padre per la crisi profonda tra i credenti dell’idea di comunità. Il testo parla principalmente della comunità, non della rete o della community”. Il professore ha messo in guardia dal rischio di “cadere nella trappola di mettere la community contro la comunità”. “Il messaggio di Papa Francesco è sulla difficoltà a far comunità”, non solo nell’ambito ecclesiale ma anche in quello sociale e politico.

Parole che hanno trovato eco in quelle pronunciate da don Ivan Maffeis: “Il messaggio del Papa rilancia quel bisogno di comunità, di relazione che c’è nel cuore di ciascuno”. Nel “consegnarci il tema della comunità”, ha evidenziato don Maffeis, il messaggio è un invito a “prenderci cura, metterci in gioco”. Un’esortazione a

“non rassegnarci ad una comunità che si sfilaccia, che si chiude in piccole cerchie di interessi di persone che finché mi danno ragione sono amici altrimenti le sconnetto”.

Per questo, “il messaggio ci affida la responsabilità di approfondire le relazioni, di viverle nel quotidiano che oggi è plasmato da relazioni che curo anche attraverso la rete”.

Il tema della responsabilità è tornato più volte negli interventi dei presenti: innanzitutto a “recuperare il primato dell’etica, la centralità della persona, il bene comune”, come ha fatto notare don Giovanni Scarpino (Calabria), e poi non solo ad un “uso corretto della rete” (Riccardo Liguori, Umbria) ma anche “positivo” rispetto al quale, ha affermato Chiara Genisio (Piemonte) gli adulti devono sentirsi chiamati in causa “perché i giovani non hanno imparato da soli a frequentarla”.

foto SIR/Marco Calvarese

Don Oronzo Marraffa (Puglia) ha posto attenzione su due problemi: la “realtà dei giochi online, con i quali i ragazzi vivono l’esperienza illusoria di essere comunità perché trascorrono tempo insieme a giocare” e il fatto che “la rete a volte non è d’aiuto” rispetto per esempio ai casi di suicidio tra i giovani, in una Regione tra quelle con il più alto tasso. Due criticità richiamate anche da don Alessandro Paone (Lazio) che si è soffermato su quelli che il Papa chiama “eremiti sociali”, frutto di un modo di vivere la rete “isolante” che è autolesionista, e sull’analfabetismo e sull’incapacità crescente di cogliere quello che si legge; sono aspetti “preoccupanti” perché “non saper leggere un testo, significa non saper leggere la propria vita.

Nel dibattito è emerso anche come sia diffusa la mancata coscienza che “essere community non è automaticamente sinonimo di comunità”. “In rete – ha affermato don Claudio Tracanna (Abruzzo-Molise) riportando parole del card. Petrocchi – oggi c’è un emozionalismo che crea contatti ma non delle autentiche comunità”. Non è un caso che

“in Italia abbiamo un’emergenza ‘comunità’ a livello ecclesiale”,

ha evidenziato don Gianni Epifani, secondo cui “forse il senso di comunità, di appartenere sta venendo meno. E se non c’è la comunità vera e reale la si cerca da qualche altra parte, anche nella rete”.

Eppure alcune cose accadute anche recentemente dicono altro. Come quanto successo a Trento, in occasione della tragica morte di Antonio Megalizzi: Piergiorgio Franceschini (Triveneto) ha sottolineato come la “vicenda drammatica che ha lacerato la famiglia e la comunità trentina, ha però fortemente ricompattato la comunità che ha riscoperto nella dimensione della preghiera una forza nuova, forse mai sperimentata”.

Di fronte al pericolo di una “rete che intrappola”, secondo Gianni Rossi (Toscana)

“la via da percorrere è quella delle relazioni, una strada efficace per incontrare gli altri anche per noi comunicatori e che può rivelarsi importante ed efficace anche dal punto di vista pastorale”.

Alessandro Rondoni (Emilia-Romagna) ha invitato ad “investire in relazioni autenticamente umane; in questo la rete può aiutarci. Diamo fisicità, mettiamo la nostra vita dentro la rete perché solo così è possibile camminare nella rete per camminare nell’umanità”. Anche don Valeriano Pomari (Campania) ha insistito sull’importanza di

“ritrovare nella rete percorsi di umanizzazione, per aiutare a comprendere che non siamo profili ma esseri umani. Qui si gioca la responsabilità digitale che come Chiesa abbiamo”.

Non sono pochi i casi in cui “in rete si corre il rischio di vivere una realtà in sintesi, senza aver fatto passaggi necessari a vivere una vita completa”, ha messo in guardia don Giuseppe Longo (Sicilia). Mentre don Fernando Primerano (Liguria) ha richiamato l’attenzione sul fatto che la “rete si è trasformata in un arcipelago di ragnatele. Bisogna invertire la rotta perché torni ad essere continente”.

foto SIR/Marco Calvarese

Don Marco Rodonotti, esperto e studioso di comunicazione della diocesi di Novara, ha esortato a “vedere la rete come complementare, una parte integrante della vita quotidiana e non solo come occasione per l’estensione delle relazioni”. Se “oggi la rete non è più un optional”, ha notato don Dino Cecconi (Marche), bisogna “prendere coscienza che questa rete va curata, ogni tanto bisogna ripulirla o ricucirla come fanno i pescatori”. In questo senso il messaggio può essere letto come un riscoprire l’importanza della “persone capaci di riparare, del prendersi cura in un’epoca dell’usa e getta”.

Sulla “pretesa peccaminosa della rete “ si è soffermato don Walter Magni (Lombardia) che ha invitato a “ricollocare la rete nella sua funzionalità”. “Non abbiamo ancora raggiunto il peccato originale della rete, che è – ha spiegato – il tentativo di ricreare la realtà. È lì che si rompe la comunità, perché qualcuno vuole creare la comunità altra, virtuale”.

E se “la comunicazione ecclesiale non è solo raccontare e informare ma creare comunione” (don Walter Insero), per don Maffeis

“nel tempo della disintermediazione avvertiamo che la nuova ri-mediazione non possiamo lasciarla solo agli algoritmi ma ci sentiamo chiamati in causa”.

“Dobbiamo stare in questo ambiente connesso. Lo facciamo con l’attenzione al linguaggio, con la pazienza a non correre nell’aggressività ma a custodire le parole, ad aprire le cerchie al confronto e al pensiero, superando la logica della contrapposizione e l’odio in rete. Arrivando alla custodia della verità che fa sì che si superi la menzogna che divide e umilia la comunità”.

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