Gli ultimi giorni del Sinodo. Mons. De Jong (Roermond): “In Olanda dobbiamo essere là dove sono i giovani per parlare di Gesù”

Mentre si attende di vedere il testo che sintetizza quanto emerso da queste intense giornate, abbiamo incontrato il vescovo delegato della Conferenza episcopale olandese al Sinodo, mons. Everard De Jong, vescovo ausiliare di Roermond. La sua presenza a Roma è legata alla rinuncia del vescovo che era stato delegato in origine, l'ausiliare di Den Bosch (Boscoducale), mons. Rob Mutsaerts, responsabile per la pastorale giovanile in Olanda. Pochi giorni prima dell’inizio dei lavori, mons. Mutsaert aveva ritirato la disponibilità e dichiarato non fosse “il momento opportuno per tenere un Sinodo sui giovani”, viste le indagini in corso e le notizie sugli abusi sessuali che arrivate dall’America e non solo. Con mons. De Jong si è parlato anche di questo

foto SIR/Marco Calvarese

Siamo alle battute finali. Dopo tre settimane di parole, confronti, discussioni, ascolto, preghiera, i vescovi che hanno partecipato al Sinodo sui giovani voteranno domani il documento conclusivo che verrà poi consegnato al Papa perché lo usi per redigere la sua “esortazione apostolica post-sinodale” e dare così indicazioni vincolanti per quello che è il futuro della Chiesa con i giovani, per i giovani. Mentre si attende di vedere il testo che sintetizza quanto emerso da queste intense giornate, abbiamo incontrato il vescovo delegato della Conferenza episcopale olandese al Sinodo, mons. Everard De Jong, vescovo ausiliare di Roermond. La sua presenza a Roma è legata alla rinuncia del vescovo che era stato delegato in origine, l’ausiliare di Den Bosch (Boscoducale), mons. Rob Mutsaerts, responsabile per la pastorale giovanile in Olanda. Pochi giorni prima dell’inizio dei lavori, mons. Mutsaert aveva ritirato la disponibilità e dichiarato non fosse “il momento opportuno per tenere un Sinodo sui giovani”, viste le indagini in corso e le notizie sugli abusi sessuali che arrivate dall’America e non solo. Con mons. De Jong si è parlato anche di questo.

Come è andata questa esperienza sinodale?
Mi è piaciuto tanto il metodo, questo processo di discernimento scandito in tre parti: l’inventario delle sfide e dei problemi; il riferimento alla luce del Vangelo su di essi; e la parte concreta, sul che cosa possiamo fare. Mi è piaciuto anche il metodo degli interventi, scanditi da una pausa di tre minuti ogni cinque interventi, per riflettere e pregare sulle cose ascoltate; il clima aperto nei gruppi linguistici, ma anche nell’aula, fin dall’inizio.

Il Papa aveva chiesto di parlare dal cuore, senza formalità, esprimendo non quello che vogliono gli altri, ma quello che pensiamo veramente e così è accaduto.

C’è stata apertura e armonia e tutti gli aspetti sono stati toccati in modo costruttivo, dall’abuso sessuale, alle grandi sfide del Medio Oriente, il confronto con l’Islam, la povertà, la morale sessuale… Un vescovo ha usato l’immagine di un puzzle: sono stati posti tanti pezzi nel quadro del Vangelo e del catechismo della Chiesa cattolica, che non è stato in discussione. Naturalmente ci si interroga su come si può portare questo messaggio ai giovani di oggi, ma non c’era una lobby per arrivare al cambiamento. Almeno non in modo evidente.

Che idee porterà in Olanda?
La parola che forse è stata menzionata più di tutte è stata “accompagnamento”, con l’immagine dei discepoli di Emmaus che sarà il filo rosso anche del documento conclusivo. Ma in tanti hanno anche detto “dobbiamo essere più coraggiosi nel menzionare Gesù”. Da noi i cattolici non sanno parlare della fede, di Gesù, non hanno un rapporto vivo con lui e quindi è necessario ricominciare da Gesù e non avere paura di parlare con i giovani di Gesù. Perché se non ne sentono parlare, non possono credere. Questa è la grande sfida: essere empatici e accompagnare i giovani, da un lato, ma dall’altra dare una direzione e andare insieme. C’è stata grande attenzione al fatto che non siamo solo noi ad accompagnare i giovani, ma sono anche loro che accompagnano noi, nella nostra vita. San Benedetto diceva che Dio tante volte parla attraverso il più giovane nella comunità: è interessantissimo! E quindi noi vescovi, come vecchi, dobbiamo essere molto aperti verso la voce dei giovani, essere non solo maestri e padri, ma anche studenti dei giovani. Un altro tema molto importante è la digitalizzazione: come arrivare ai giovani che sono tutto il giorno su internet? Non è facile perché l’attrazione verso queste cose è grande, ci si perde in questa schiavitù. A me piacerebbe inventare un gioco cristiano. Già me lo immagino un grande gioco sul mondo biblico: l’attraversamento del Mar Rosso, l’ingresso nel deserto e poi la terra promessa; il tutto con delle scelte da fare, animali feroci da sfidare e poi Davide e Golia… Ma costa troppi soldi!! Sarebbe bello un giorno incontrare un miliardario che mi finanzia. I giochi per i giovani sono importantissimi e allora perché non entrare in questo mondo? Mi sembra importante oggi anche l’idea degli oratori di don Bosco: nella famiglia i ragazzi tante volte non hanno quel fuoco dell’abbraccio, della stabilità.

Poi l’idea della sinodalità, questo processo fatto insieme ai giovani e agli esperti, potrebbe essere un modo usato anche ad altri livelli, nelle diocesi nelle parrocchie come modo per fare preparazione alla pastorale, confrontandosi con tutti coloro che sono coinvolti, per fare qualcosa insieme e così rendere i giovani protagonisti dell’evangelizzazione.Lei è venuto al Sinodo perché il vescovo designato ha deciso di rinunciare. Come ha vissuto questa cosa?
Anche io penso che il tema dell’abuso sessuale ha bisogno di molta attenzione. Mons. Mutsaerts ha segnalato che prima di tutto la casa deve essere sicura, se no non si può parlare di Gesù. Penso però che ci siano tante altre difficoltà e sfide nella pastorale giovanile di cui parlare. E poi c’è già un incontro del Papa con i presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo fissato per febbraio su questo tema. Per me, come secondo della lista, è stata una gioia partecipare. Come nelle famiglie c’è la voce del padre e della madre, l’uno è forte, deciso, l’altra più dialogica, conciliante, ma tutti e due sono necessari, così io ci vedo come complementari.

Cosa farà al suo ritorno?
Dovrò riferire ai vescovi quello che ho vissuto e poi penso che questo processo di discernimento servirebbe non solo per i giovani ma per tanti problemi nella Chiesa. Spero di portare gioia, speranza, e la fiducia che è possibile fare pastorale con i giovani. Io ho studiato due anni qui a Roma, tre in America, sono stato a dieci Giornate mondiali della gioventù e per me il vantaggio adesso è che sono convinto che sia possibile la pastorale della gioventù, ma tanti preti in Olanda e anche qualche vescovo hanno perso la speranza. Penso la sfida anche per l’Olanda sia andare verso i giovani, essere là dove sono i giovani e poi parlare loro di Gesù.

Le statistiche olandesi dicono che solo il 6% dei cattolici frequenta regolarmente la Chiesa…
Sì, e questa è la media, per cui i giovani sono ancora meno! Abbiamo imparato a vivere con questi numeri. È da anni che i numeri diminuiscono. Ma nessuno scoraggiamento!

Sono stato cappellano degli studenti e ne ho incontrati tanti: non sanno niente della fede, ma sono aperti, è possibile parlare con loro di Gesù perché è un estraneo interessante per loro, ma dobbiamo parlare in un modo che loro capiscano, e dare loro l’essenziale della fede, il Kèrigma.

Io sono sicuro che l’essere umano ha una natura religiosa e in un certo senso cristiana, cioè ha bisogno di Cristo, anche in Olanda. Bisogna trovare la via del cuore, ma io sono fiducioso.

Lei era l’unico olandese. Si è sentito solo?
Un po’ sì! Vedevo gli altri vescovi parlare con i confratelli del proprio Paese… ma il vantaggio è stato che ho parlato con tanti altri, con i vescovi del mondo.

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