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Giornata mondiale poveri. L’esempio di Alberto Hurtado: “Il povero è Cristo”

Alberto Hurtado, gesuita cileno, ha fondato il movimento “Hogar de Cristo” (“Ricetto di Cristo”) per accogliere persone in situazioni di strada. È stato canonizzato il 23 ottobre 2005 da papa Benedetto XVI, divenendo il secondo santo del Cile

Padre Hurtado

Per preparare il cuore per la prima Giornata mondiale dei poveri, non c’è niente di meglio che ascoltare da uno dei più grandi santi del nostro tempo, il gesuita cileno sant’Alberto Hurtado (1901-1952), quella frase che sulle sue labbra suona come un appello accorato:

“Il povero è Cristo”.

Hurtado spiegava bene il Vangelo e lo incarnava nella realtà della strada: “Il povero raccoglitore di cartone, il lustrascarpe… la donnina con la tubercolosi, quella che ha i pidocchi, è Cristo. L’ubriaco… non scandalizziamoci, è Cristo! Insultarlo, farsi beffe di lui, disprezzarlo, è disprezzare Cristo! Qualunque cosa fate al più piccolo, la fate a me! Questa è la ragione del nome “Hogar de Cristo” (“Casa di Cristo” – fondata nel 1944 per accogliere persone in situazioni di strada. Attualmente la Casa serve più di 25mila persone nelle oltre 500 opere che gestisce in tutto il Cile).

Alla fine della vita esprimeva il suo ultimo desiderio: “Al momento di partire, tornando da mio Padre, Dio, permettetemi di affidarvi un ultimo desiderio: che vi adoperiate per creare un clima di autentico amore e rispetto per il povero, perché il povero è Cristo. ‘Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me’ (Mt 25, 40). L’Hogar de Cristo, fedele al suo ideale di cercare i più poveri e abbandonati per colmarli di amore fraterno, ha continuato con le sue case di accoglienza per uomini e donne, affinché coloro che non sanno dove andare trovino una mano che li accolga”.

Il nucleo del cristianesimo

Senza sapere che la sua vita sarebbe finita presto, Hurtado voleva scrivere qualcosa su quello che egli chiamava “il senso del povero”. Lo confidò al suo amico Arturo Gaete:

“Se sente dire qualcosa della mia salute, sappia che sto meglio, dopo un mese di riposo presso il porto [di Valparaíso]. Spero di scrivere quest’estate (o iniziare?) qualcosa sul senso del povero. Credo che qui si trovi il nucleo del cristianesimo e che ogni giorno s’incontri più resistenza e incomprensione nei confronti di tutto ciò che parla di povertà. Conosce qualcosa di buono su questo tema?”.

Quel progetto è rimasto incompiuto, ma possiamo trovare quello che significa “il senso del povero” per Hurtado in tutta la sua opera e la sua vita.

Il senso del povero ha a che fare con la dimensione concreta dell’incarnazione

“Essere cuoco o fuochista non è meno nobile che essere scrittore, poeta o avvocato. Da dove viene l’eccellenza di queste professioni intellettuali? Dal falso concetto platonico, pagano, della maggiore importanza dell’astratto rispetto al concreto. Tuttavia questo concetto è stato spazzato via dall’Incarnazione, che è un fatto molto concreto e genera una vita di fatti con le più umili realtà”.

Il senso del povero è qualcosa a cui tutti dobbiamo essere educati

“Questa educazione al rispetto deve essere acquisita sin dalla prima infanzia: il rispetto dei fratelli tra di loro, il rispetto per i servitori, il rispetto per i poveri, i mendicanti e persino gli ubriachi”.
Hurtado descrive questo senso del povero con queste parole:

“Sentire i loro dolori, le loro angosce come proprie, non rimanendo con le mani in mano quando abbiamo la possibilità di aiutarli. Desiderare il rapporto con il povero, provare dolore per non saper vedere un povero che rappresenta per noi Cristo”.

È una frase molto densa. Occorre sminuzzarla. Cominciamo dalla fine: “Desiderare il rapporto con il povero, provare dolore per non saper vedere un povero che rappresenta per noi Cristo”.
Il segno che io “vedo” Cristo in una persona povera sarebbe “il desiderio” di entrare in rapporto.
Se non sento questo desiderio ma, al contrario, me ne voglio sbarazzare o mantenerlo a una certa distanza, allora arriva l’indicazione di “provare dolore di non vedere Cristo”; il fatto di rendermi conto che, se lo vedessi, desidererei il rapporto.
Tutti abbiamo esperienza di aver sentito come grazia, in qualche momento della nostra vicinanza con qualche persona povera, la consolazione della presenza del Signore. Quando non la sentiamo, Hurtado, con pedagogia divina, ci esorta non a lamentarci dicendo: “Ho visto Cristo e non l’ho servito”, bensì a dire: “Non l’ho visto”, per questo non ho sentito il desiderio di avvicinarmi.

Padroncini

Hurtado parlava di avere una “devozione affettuosa per il povero”. Parlando ai volontari della Fraternità, descriveva questa devozione così:

“Fate in modo che ci sia rispetto per il povero: i loro letti, che non manchino i cucchiai, i piatti, ecc. Adoperatevi per la dignità del povero, è Cristo che servite. Che ci sia nella Casa un rapporto con il povero, andate a Chorrillos, cercate il povero con amore e rispetto… Che non perda d’intensità questa fiamma di carità dell’Hogar de Cristo per trasformarsi in una carità fredda”.

Nella Fraternità si fa un “voto di obbedienza al povero”, che chiamano “padroncino”. Ciò dovrebbe indurci a riflettere su quanto sia concreta l’affermazione che il povero è Cristo e che una persona possa legarsi con un voto a obbedirgli. Non saprei spiegarlo in teoria, ma posso testimoniare che ho visto questo voto vissuto nella pratica. Sono rimasto molto colpito, nelle case di accoglienza in Cile, che ho visitato alcuni anni fa, nel vedere nei laici questo atteggiamento di vera obbedienza al povero.

Ricordo come una guardia trattava un ubriacone che, insieme ad un altro volontario, stava accompagnando verso un’area speciale della Casa perché era molto ubriaco e non poteva entrare nelle stanze. L’immagine che mi è rimasta è che lo stavano tenendo in disparte come se fosse il capo di un’impresa che si era ubriacato e i dipendenti lo proteggessero per fare in modo di non farlo vergognare e che gli altri non lo schernissero. Voglio dire che gli stavano vicino con il rispetto che si ha per un capo.

Un altro atteggiamento che ha attirato la mia attenzione è stata l’infinita e affettuosa pazienza con cui un collaboratore ascoltava le lamentele di un “padroncino”. Per farvi capire, direi che aveva il rispetto tipico di un dipendente di una società telefonica, che non perde mai la compostezza, insieme all’affetto di un fratello maggiore che ascolta un fratello più piccolo. Voglio dire che univa cose che di solito non vanno insieme. Erano volontari comuni e mi ha colpito che non davano la sensazione che stessero facendo qualcosa di speciale o forzato: questo spirito nasceva in loro spontaneamente. Ubbidivano al povero con lo stesso atteggiamento che avrebbero avuto nell’indicargli qualcosa o porgli dei limiti.

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