Focolari: Maria Voce, “l’ecumenismo serve alla pace perché la pace è unità dei cuori”

“Abbiamo costruito tanto insieme. Ora si tratta di accelerare il passo, perché la comunione sia piena e visibile. Bisogna andare avanti”. Intervista a Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, a margine della 59ª Settimana ecumenica (Castel Gandolfo, 9-13 maggio).

(Foto: Siciliani-Gennari/SIR)

“La rivoluzione del Vangelo. Ritornare al Vangelo e alla vita del Vangelo nel mondo”. È racchiuso qui, in questo mettere in pratica la Parola di Dio oggi come ai tempi dei primi cristiani, il progetto ecumenico iniziato 50 anni fa da Chiara Lubich e portato avanti dal Movimento dei Focolari in tutto il mondo. Un progetto in cui cristiani di tutte le Chiese possono riconoscersi pienamente, partecipare ed essere insieme ovunque semi di pace in un mondo ferito da guerre e divisioni. Parla Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari. La incontriamo con un gruppo di giornalisti di diverse testate, italiane e non, a margine della la 59ª Settimana ecumenica che si è svolta al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo dall’11 al 13 maggio. La sala è piena. Sono presenti circa 700 cristiani di 69 Chiese e Comunità ecclesiali, di 40 Paesi del mondo. Le cabine delle traduzioni sono tutte accese: 17 le lingue presenti. I partecipanti, di tutte le età, hanno colori e vestiti che fanno intuire provenienze e appartenenze diverse. Tra i momenti forti di questa Settimana, la preghiera per l’unità nelle catacombe di san Sebastiano a Roma, nello stesso luogo dove pregarono i primi cristiani e martiri. Qui, hanno stretto un “Patto di amore reciproco” scambiandosi un segno di pace e di perdono per le ferite inferte nel passato e perché, “rinnovati dall’amore, portiamo questa testimonianza vissuta tra noi nelle nostre comunità, nei nostri paesi, nelle nostre società”. “Abbiamo costruito tanto insieme”, commenta Maria Voce. “Ora si tratta di accelerare il passo, perché la comunione sia piena e visibile. Bisogna andare avanti”.

Mai come oggi il mondo anela alla fratellanza universale. Lei crede che sia possibile? E possibile in questo secolo?
Non so se sarà possibile in questo secolo, ma so che è possibile. Anzi è sicuro che arriveremo perché è desiderio di Dio. Dio vuole che tutta la famiglia umana sia una famiglia di fratelli.

Se Dio lo vuole, questo disegno di unità del genere umano non può non realizzarsi.

Non so se si riuscirà in questo secolo. Ma l’importante non è realizzarlo in questo secolo. L’importante è che si realizzi e che noi facciamo il passo che Dio ci chiede oggi e oggi Dio ci chiede di lavorare in questa direzione e, quindi, almeno di riconoscerci come fratelli tra cristiani.

(Foto: Siciliani-Gennari/SIR)

Nel mondo ecumenico si avverte da più parti sofferenza per l’impossibilità dei cristiani di diverse Chiese di partecipare alla stessa mensa eucaristica. Lei come risponde?
È sicuramente un dolore per tutti. Però sentiamo anche che la presenza di Gesù nel mondo non è limitata alla presenza eucaristica. Gesù è presente nel mondo in tanti modi. È presente con il suo amore, è presente nel prossimo perché riconosciamo Gesù nel fratello; è presente nei poveri, è presente in coloro che ci guidano nel magistero della Chiesa e nella varie Chiese e istituzioni. Noi, come movimento, sentiamo particolarmente importanti due cose. La prima è che il dolore è la presenza di Gesù nel mondo. Gesù ha assunto su di sé tutti i dolori dell’umanità e, quindi, anche il dolore della divisione. È un dolore che Gesù ha vissuto fortemente nel momento in cui è stato crocifisso e abbandonato. La seconda cosa importante è quando

Gesù ha detto: “Dove due o più sono uniti nel mio nome…”. Non ha detto uniti nell’Eucaristia, ha detto “nel mio nome”.

E cosa vuol dire essere uniti nel nome di Gesù? Vuol dire essere uniti nell’amore reciproco che Lui ha portato sulla terra. Quindi dove due o più, sono uniti nel suo nome, c’è la sua presenza. Questa presenza di Gesù nel mondo è in un certo senso la prova che noi viviamo già una vera comunione e, per questo, anche noi possiamo dire: chi ci potrà separare dall’amore di Cristo? Potremo non ricevere l’Eucaristia insieme, ma non possiamo non ricevere l’amore di Dio, non possiamo non vivere questo amore tra noi, tutti insieme, in attesa che si possa arrivare a quella comunione ancora più completa che si aggiungerà alla comunione che già abbiamo.

(Foto: Siciliani-Gennari/SIR)

Guerre, minacce nucleari, terrorismo. Tante sono le sfide. Lei ha detto che l’ecumenismo è importante per la pace. Ci può spiegare perché e come?
L’ecumenismo è importante per la pace perché l’ecumenismo è unità. L’unità è la pace. L’unità è essere un cuor solo e un’anima sola. È amarsi. È condividere i propri beni, i dolori, le gioie. Ed è questo che porta la pace.

Che cosa è la pace? La pace non è assenza di bombardamenti. Non è un compromesso che si firma.

La pace non è tutto questo. La pace è l’unità dei cuori. L’ecumenismo serve a costruire e allargare l’unità dei cuori e, quindi, serve alla pace, serve tantissimo alla pace. Se poi i cristiani si presentano uniti, sicuramente incideranno di più. E insieme realizzeranno progetti di pace anche e soprattutto laddove la pace è continuamente minacciata. Aiuteranno a mettere in pratica la condivisione dei beni nel mondo, l’aiuto a chi scappa dai Paesi in guerra alla ricerca di una vita migliore, l’accoglienza. Ma aiuteranno, se saranno uniti. E se saranno uniti aiuteranno a compiere quei passi necessari perché la pace possa realizzarsi.

Che contributo sta dando Papa Francesco al movimento ecumenico e che tipo di stile sta comunicando alla Chiese?
Io il suo contributo l’ho avvertito al primo momento che si è affacciato alla finestra quando si è presentato al mondo come vescovo di Roma. Ed è stato quello il primissimo contributo del Papa al cammino ecumenico delle Chiese. È un contributo che sta continuando, anche in questa sua continua ansia di riforma delle Chiese e della Chiesa nella direzione verso una maggiore collegialità e partecipazione, sia dei pastori, sia dei fedeli, sia di maggiore umiltà reciproca e riconoscimento degli errori commessi. Tutto un processo che va nel senso del cammino ecumenico.

I partecipanti alla Settimana ecumenica hanno preso parte mercoledì all’udienza generale dove papa Francesco ha parlato di Maria come madre rimasta accanto al figlio fino alla passione. Maria è modello di cammino ecumenico?
Direi di sì. Perché Maria è madre, è madre di Dio e madre di Gesù e, quindi, madre di tutti gli uomini. E sicuramente una madre vuole vedere i suoi figli insieme. Cerca di fare di tutto perché i figli si ritrovino, riconoscano che Dio è sceso sulla terra e si è fatto uomo per loro. Vuole che si amino, non litighino, non discutano con astio, l’uno contro l’altro ma cerchino modi sempre nuovi per comprendersi. Maria ci aiuta in questo. E poi io credo che Maria ci aiuta proprio nel suo stare sotto la croce. Con la sua desolazione. Mi sembra che lì, lei stessa perde il suo tesoro più grande e insegna a noi a

saper perdere qualcosa, anche quella ricchezza che ogni Chiesa ha ma che è chiamata a ricomporsi con le ricchezze degli altri.

Se Maria è riuscita a perdere il figlio, noi possiamo perdere un’idea, un ricordo, una ferita che ci portiamo dentro, un pregiudizio, per costruire e diventare costruttori di unità.

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