A Bari Vecchia “”sempre gli stessi poveri”””Sono la mia famiglia”””

Don Franco Lanzolla è parroco della Cattedrale da otto anni: ''Il mio ufficio è la strada. La mia aula liturgica è la relazione. La famiglia è il luogo permanente per aiutare anche noi preti a diventare meno funzionari e più nuziali. Se non ti sposi alla Chiesa non puoi essere un padre''. Non ha un viceparroco. La sua parrocchia la fanno i laici: le coppie, gli anziani e le famiglie " "

La prima cosa che dice, a scanso di equivoci, è: “Io sono un prete felice”. E la seconda: “La mia parrocchia è come un albergo diffuso. Sta sulla strada, tra la gente”. Don Franco Lanzolla è una vera istituzione a Bari Vecchia, dove è parroco della Cattedrale da otto anni: “Sono stato rimandato”, scherza spiegando di essere ritornato a San Sabino dopo esserci stato da viceparroco e aver fatto il parroco per 19 anni a Japigia, zona “molto difficile”. Mi concede il privilegio di essere la sua ombra per mezza giornata. Al telefono, quando prendevamo accordi, è stata dura convincerlo a essere lui il centro di un ritratto. Ora capisco perché: “Io sono un padre”, mi spiega, ed è dal modo in cui esercita questa “paternità” che nasce la sua autorità. Non ha un viceparroco. Ci tiene a dire che la sua parrocchia la fanno i laici: le coppie, gli anziani, le famiglie, un gruppo di 150 “ascoltatori, prima di tutto della Parola, contemplativi e operatori”. “Questa è la mia fidanzata”, dice affettuoso ad ogni sua parrocchiana “over 85”. “Questo è mio figlio… questa è mia figlia”, mi dice indicandomi con occhi complici quelle, tra le persone che incontra, che si intuisce abbiano una storia speciale alle spalle. Come a volermi dire: so tutto di lui, di lei, delle loro vite spesso difficili, le porto nel mio cuore. Un cuore di padre che ha a cuore soprattutto le “ferite” dei propri figli. E che da loro è riconosciuto come dono: “È il nostro parroco”, dicono con semplicità e orgoglio. E lui ricambia: “Il mio ufficio è la strada. La mia aula liturgica è la relazione. La famiglia è il luogo permanente per aiutare anche noi preti a diventare meno funzionari e più nuziali. Se non ti sposi alla Chiesa non puoi essere un padre”. Una città nella città. Inizia alle 9.30 il nostro percorso a piedi lungo i vicoli dell’unico centro storico “abitato dagli aborigeni”, come li definisce don Franco: non si è svuotato come è accaduto in altre città, non è stato invaso dagli immigrati. Bari Vecchia era un emirato arabo ed ha conservato questa aria da medina: gli abitanti nel 1200, ai tempi di Federico II e della costruzione della Cattedrale, erano 20mila, poi dopo gli Angioini la popolazione si è quasi fermata: nel 1860 gli abitanti erano 21mila. Oggi nel territorio della parrocchia, dove ci sono 16 chiese (oltre alla basilica di S. Nicola), abitano 15mila persone: “Sono sempre gli stessi poveri”, mi spiega, “una città nella città”. Alle 10 visitiamo l’ambulatorio: in questo punto strategico tra la ferrovia e il porto da 15 anni transitano malati, handicappate, prostitute, ma soprattutto gli immigrati che sbarcano senza documenti e tessera sanitaria. A fare il servizio di accoglienza sono i 90 anziani del gruppo “Abramo e Sara”: “È stata la prima cosa che ho voluto fare da parroco”, racconta don Franco: “La memoria è un bagaglio fondamentale e gli anziani sono i collaboratori migliori, mantengono unite le famiglie dei figli e si prendono cura dei nipoti”. Voglia di stabilità. Alle 10.30, una lezione in diretta di pastorale familiare, sotto forma di colloquio tra don Franco e don Giacomo, che chiedeva consigli sui corsi per fidanzati. “Il catechista è il libro, io non faccio un incontro uguale ad un altro”, spiega don Franco rivelando di dover dire “grazie” ad un parroco anziano che, quando a 25 anni faceva il diacono in una parrocchia romana gli ha affidato i corsi per fidanzati. “Da allora non ho più smesso”, racconta. Quest’anno ha 26 coppie, età media 32 anni. “Hanno voglia di stabilità: in un mondo di precarietà, sono già vedovi di amore”, li descrive don Franco: “Noi diamo loro una cosa bella: la ricerca di sé”, perché “ridurre la Chiesa a un consultorio è un po’ riduttivo”. Alla Cattedrale l’offerta per le famiglie è ampia: oltre ai corsi per fidanzati ci sono quelli per giovani coppie, giovani sposi e genitori dei figli battezzati. Il gruppo “La casa di Osea” accoglie le coppie in crisi, mentre una volta al mese il gruppo “Relazioni nuziali spezzate” riunisce i divorziati risposati. Il sabato c’è l'”oratorio di strada” che si occupa di pre-devianza minorile. Famiglia per chi non ha famiglia. Alle 11.30 approdiamo al Centro pastorale “S. Giacomo” dove ci sono le docce per i poveri – circa 30 docce al giorno, il martedì e il sabato – e il dispensario, dove ogni venerdì i volontari distribuiscono un pasto crudo per i parrocchiani di Bari Vecchia e uno cotto “a tutti”, per un totale di circa 150 pasti. “Vogliamo essere una Chiesa che si fa famiglia per chi non ha famiglia, casa per chi non ha casa”, spiega don Franco. Il pomeriggio qui c’è anche il dopo-scuola: “Bisogna sostenere gli ultimi, ma anche aiutare i primi, soprattutto tra i ceti più popolari”, la scommessa di don Franco per “creare una leadership”. “Perché non ti sei candidato a sindaco? Ti avremmo votato!”. Sono quasi le tredici quando arriviamo alla Mensa di Santa Chiara. Don Franco è di casa e saluta tutti, e questa è una delle battute che i commensali gli rivolgono. “Ho altro da fare”, scherza lui e mi presenta uno ad uno i volontari che il giovedì, venerdì, sabato e domenica garantiscono 150 pasti al giorno. Compresi i ragazzi del liceo che subito dopo la scuola vengono qui a servire ai tavoli. “È luogo d’incontro dove la Chiesa si fa famiglia”, si legge nell’epigrafe all’ingresso. Mezz’ora dopo ci dobbiamo salutare. “Devo studiare”, si scusa don Franco, oggi pomeriggio deve fare lezione all’Istituto di Scienze Religiose. Prima, però, bisogna mantenere una promessa: consegnare ai gestori del bar di Via Carmine una targa segnaletica di quelle marroni e bianche. La scritta è “Basilica di San Nicola”, seguita da una freccia. Lui se la mette sotto il braccio e la consegna, l’ha acquistata di tasca propria, visto che il Comune faceva orecchie da mercante.

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