Dono e responsabilità

Sabato prossimo, con altri 21, sarà creato cardinale da Benedetto XVI

Un dono e una responsabilità. Così l’arcivescovo Giuseppe Betori definisce il cardinalato: nel Concistoro ordinario pubblico di sabato prossimo l’arcivescovo di Firenze riceverà la "berretta" di colore rosso, simbolo della dignità cardinalizia, e verrà creato cardinale da Benedetto XVI. Domenica, in cattedrale a Firenze, la messa con la sua comunità diocesana. Il settimanale regionale "Toscana Oggi" pubblica un’ampia intervista all’arcivescovo a cura di Riccardo Bigi: ne proponiamo un estratto rinviando la lettura del testo integrale a www.toscanaoggi.it.

Si appresta a diventare cardinale: quale significato dà a questa nomina, sia a livello personale sia per la diocesi che le è affidata?
"Anzitutto è un gesto di benevolenza da parte del Santo Padre sia verso la mia persona sia verso la città di Firenze. Quindi è un dono che si accetta con gratitudine. Un dono impegnativo, soprattutto in due direzioni: la prima è quella del rafforzamento del mio legame con il Santo Padre e del legame della diocesi con la Sede di Roma. Dall’altro lato, c’è il farmi carico di una responsabilità verso la Chiesa universale come collaboratore del Papa, e quindi anche uno stimolo per la Chiesa fiorentina alla cooperazione missionaria, alla collaborazione con le Chiese che sono nel mondo".

Ha indicato nel cardinale Dalla Costa, di cui ha da poco celebrato il 50° della morte, un predecessore che considera un modello importante cui ispirarsi. Quali sono i tratti del Servo di Dio Elia Dalla Costa che le sembrano particolarmente significativi, e ancora attuali?
"Direi che è stato un vescovo anzitutto di profonda spiritualità, e questo incontra una delle esigenze odierne della Chiesa che il Santo Padre sta evidenziando con grande forza, che è la questione della centralità della fede: la riproposta della fede come ‘il’ problema della Chiesa e della sua missione lo sta a dimostrare. In Dalla Costa questo è molto evidente: è senz’altro un vescovo che ha avuto una forte presenza sociale, è stato un grande animatore di attività pastorali… però nella sua identità più profonda è stato soprattutto un grande uomo di fede. Tutto il resto scaturiva dalla sua fede. Da questo punto di vista credo che la sua lezione sia ancora attuale e che abbiamo molto da imparare".

La sua prima Lettera pastorale, "Nel silenzio la Parola" tocca temi essenziali come la verità, il dialogo, la necessità di ascolto, di meditazione, di preghiera. Come le sembra che sia stato accolto questo messaggio?
"L’accoglienza è stata molto positiva, la gente me ne parla, ne sono scaturite delle iniziative di approfondimento molto interessanti e qualificate, e altre sono in cantiere. Non nascondo che c’è anche stata l’indicazione da parte di molti di una certa difficoltà del linguaggio e dell’argomentazione che io propongo. Per questo peraltro ho voluto dedicare allo stesso tema la lettera alle famiglie, in cui gli stessi contenuti sono proposti in termini più accessibili. E poi posso annunciare che sto pensando a una traduzione della lettera ai ragazzi. Penso di riscrivere alcuni contenuti della lettera rivolgendomi direttamente a loro: vediamo cosa verrà fuori. Non mi dispiace comunque di aver fatto un testo un po’ arduo, che costringe a pensare un po’. Nella comunicazione di oggi in cui siamo abituati a sentire di tutto e poi non resta nulla, se il doverci pensare sopra può servire a far restare qualcosa sono contento".

Guardando al 2015, Firenze ospiterà il quinto Convegno ecclesiale nazionale. Come si preparerà la Chiesa fiorentina in questi tre anni?
"Sono molto lieto di questa scelta che il Consiglio permanente della Cei ha voluto fare. Io ho vissuto tre Convegni ecclesiali nazionali, il primo come delegato della diocesi, il secondo come organizzatore, il terzo come segretario generale della Cei. Quindi so l’importanza di questi eventi per la vita della Chiesa. Dobbiamo ricordare che il soggetto promotore dell’evento non è la Chiesa fiorentina ma è la Conferenza episcopale italiana, quindi dovremo avere l’umiltà di lasciarci guidare ed essere pronti ad accogliere le indicazioni che ci verranno date. A noi è chiesto invece un grande sforzo sull’accoglienza e sull’organizzazione. Sul piano organizzativo sarà necessaria la disponibilità di mezzi, di persone, di strutture, e su questo mi è stato assicurato ogni tipo di aiuto sia a livello di istituzioni cittadine che di realtà sociali della città. Sul piano dell’accoglienza, è molto importante che chi viene da tutta Italia (saranno circa quattromila persone tra membri dell’assemblea, organizzatori, giornalisti, invitati e così via) possa sentirsi a casa propria, in una Chiesa e in una città che esprimono il meglio del proprio volto e lo propongono come una cornice di fede e di cultura che permetterà ai contenuti che ci verranno proposti di svilupparsi nelle condizioni più favorevoli".

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