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“Libertà di parola ed elezioni possono attendere in Iraq, almeno per ora”. E’ il titolo di un articolo in cui David Rohle, sull’ Herald Tribune (19/6), analizza la turbolenta situazione dell’Iraq del dopoguerra, dopo gli scontri degli ultimi giorni con l’esercito americano. “Se si svolgessero elezioni oggi in Iraq – è la previsione dell’autore dell’articolo – , i partiti fondamentalisti islamici di origine iraniana potrebbero vincere nel sud dell’Iraq, temono i diplomatici. Una nuova versione del partito di Saddam Hussein potrebbe dominare le elezioni nell’Iraq centrale e settentrionale”. Sulla “riorganizzazione” politica in Iraq si sofferma anche Le Monde del 18/6, con un articolo in cui Sophie Shihab fa notare che “dopo 35 anni di repressione sotto il regime di Saddam Hussein, la comunità sciita d’Iraq, che rappresenta il 60% della popolazione, ha ritrovato la libertà. Per il momento, lontana dall’utilizzare la suo predominio demografico, è conciliante con le autorità americane”. Da parte americana, osserva Patrick Jarreau sullo stesso quotidiano, “l’instaurazione di un nuovo sistema politico in Iraq si è rivelata molto più lenta e difficile di quanto non prevedesse una parte dei responsabili americani. Le conferenze organizzate a Washington, a partire dall’estate 2002, tra i rappresentanti dei partiti laici, degli islamici e dei curdi, non hanno permesso di giocare d’anticipo sulle conseguenze dell’affossamento del regime di Saddam Hussein, come speravano gli esperti politici del ministero della difesa”. In Iraq, scrive Giorgio Ferrari sul quotidiano cattolico italiano, Avvenire (19/6), “la guerra è ben lungi dall’essere conclusa (…). Proprio l’assenza del nemico battuto, la mancanza fisica della sua resa incondizionata ci obbliga a riconoscere che questa guerra non è ancora finita, a quaranta giorni dalla conclusione ufficiale delle attività belliche (…). ‘Un piccolo Viet Nam’, come ha scritto qualche foglio indipendente iracheno, uno dei molti che oggi, inebriati dal bagno di improvvisa libertà di cui gode il Paese, affollano le bancarelle e i negozi di Baghdad, di Bassora, di Mosul, di Kirkut, di Nasiriyah, di Tikrit”.
“I nuovi movimenti religiosi”
: questo il titolo di un’inchiesta “a puntate” sulla “laicità di oggi” ospitata da La Croix, che nell’edizione del 18/6 si interroga sulle sétte, considerate dai francesi un “pericolo” nel regime di separazione tra lo Stato e la Chiesa, che rende “difficile” il “controllo” su tali realtà. In Francia, infatti, stando ai dati di un rapporto stilato nel 1995, si contano 172 organizzazioni ed una “nebulosa” di almeno 800 “satelliti”, coinvolgendo circa 160 mila membri regolari od occasionali e 100 mila simpatizzanti.


Si inserisce a pieno titolo nel dibattito continentale sulla Convenzione la Frankfurter Allgemeine Zeitung del 14 giugno scorso. Rifacendosi allo storico trattato di Roma, che data al 1957, il foglio francofortese mette in luce l’estrema “ diversità del contesto politico europeo” chiedendosi se anche a questo documento “ potrà essere preposto un giorno l’aggettivo storico“. La risposta del quotidiano è comunque negativa, in virtù del fatto che “ la complessità della realtà, dello sviluppo politico e dell’ampliamento dell’Europa richiederanno sicuramente ulteriori compromessi e riforme costituzionali, che saranno da prevedere già prima che il presente trattato entri in vigore“. Sempre sul tema dell’Europa torna la FAZ il 16 giugno con un editoriale a firma Paul Hefty che lamentando l’assenza “ di una chiara definizione di ciò che l’Europa sia e debba essere“, torna sulla mancanza di un “ chiaro riferimento” alle radici cristiane dell’Europa “ senza il quale anche il concetto di dignità umana diviene autoreferenziale e privo di fondamento“. Un’ulteriore critica all’Europa è quella rivolta dal sociologo Otto Hondrich sullo Spiegel del 16 giugno. In un ampio articolo dal titolo “ Il potere che fa ordine” lo studioso definisce ironicamente e a grandi linee le specificità di alcune aree del Mondo all’Alba del terzo Millennio, come “ una globale ripartizione di compiti, per cui in Asia si lavora, nel mondo Arabo si prega, in Africa si soffre, in America si pensa ad armarsi, mentre in Europa si continua a discutere praticamente su tutto“. ———————————————————————————————————–
Sir Europa (Italiano)
N.ro assoluto : 1205
N.ro relativo : 45
Data pubblicazione : 20/06/2003


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