Nel 2016 sono nati oltre 12mila bambini in meno rispetto all’anno precedente. Dal 2008 (inizio della crisi) al 2016 l’Istat registra una diminuzione di oltre 100mila nascite e il calo si spiega in larga misura (i tre quarti) con la diminuzione delle donne in età feconda, più che per la minore propensione ad avere figli. I dati diffusi oggi dall’Istituto nazionale di statistica mostrano una denatalità che in un certo senso alimenta se stessa. La fase di calo natalità avviatasi con la crisi – osserva l’Istat – è caratterizzata da una diminuzione soprattutto dei primi figli, passati da 238.922 nel 2008 a 227.412 nel 2016 (-20%). Si conferma anche la tendenza alla diminuzione della fecondità rilevata dal 2010. Il numero medio dei figli per donna scende a 1,34 (1,46 nel 2010), risultato dell’1,26 registrato tra le donne italiane e dell’1,96 tra le donne straniere residenti. Nel 2016, peraltro, sono scesi per la prima volta sotto quota 70mila i bambini nati da genitori entrambi stranieri. Più lieve la diminuzione (-7mila dal 2012) dei nati con almeno un genitore straniero, che nel 2016 risultano poco più di 100mila (21,2% del totale). Tra i nati stranieri restano al primo posto i bambini rumeni (15.417), seguiti da marocchini (9.373), albanesi (7.798) e cinesi (4,692).
Analizzando le serie storiche, l’Istat rileva che il numero medio dei figli per donna continua a diminuire senza soluzione di continuità. Era 2,5 nei primissimi anni Venti, è sceso a 2 nelle generazioni dell’immediato secondo dopoguerra e per le donne della generazione del 1976 è stimato in 1,44. È aumentata notevolmente anche la quota di donne senza figli: nel 1950 era l’11,1% e in quelle della generazione del 1976 raggiungerà, alla fine del ciclo della vita riproduttiva, il 21,8%.